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Le rilevanti conseguenze sul processo di integrazione europea di Next Generation EU

«The plan’s main plank, the Recovery and Resilience Facility (RRF)
is widely seen as a short-term Keynesian stimulus.
Although the EU debt is expected to be repaid through
contributions from member states,
the resulting transfers are often seen, including by
national governments, as money from heaven.»
Jean PISANI-FERRY

Next Generation EU, il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e i “Recovery Plan

La Commissione, sull’abbrivio del mandato conferitole dal Consiglio Europeo del 23 Aprile 2020 e del documento “Una tabella di marcia per la ripresa. Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa”, ha avanzato, a fine Maggio dello scorso anno, delle proposte molto innovative per fronteggiare gli effetti recessivi della pandemia di COVID-19, attraverso:
• un piano di intervento coordinato a livello europeo, che nel resto del contributo viene indicato come Piano per la Ripresa Europea (in linea con il titolo della Comunicazione della Commissione COM(2020) 442), proposto su mandato del Consiglio Europeo del 23 Aprile 2020;
• un piano, di natura straordinaria, direttamente funzionale all’implementazione del Piano per la Ripresa Europea, che è stato denominato Next Generation EU (NGEU) per rimarcare che dovrebbe essere un piano ambizioso, inteso a tutelare l’ambiente ed a delineare un nuovo modello di sviluppo adatto alle esigenze delle future generazioni (si veda il discorso su “lo stato dell’Unione” della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, tenuto il 16 Settembre 2020, di fronte al Parlamento Europeo riunito in seduta plenaria).
NGEU non è affatto un monolite, come si potrebbe ritenere dopo aver ascoltato per mesi i commenti approssimativi di decisori politici e media italiani, ma si articola in più aree di policy e, per ciascuna di esse, su più dispositivi di finanziamento.
Il principale fra questi è il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, su cui si concentra la quota più elevata delle risorse complessive che verranno raccolte dalla Commissione sui mercati finanziari, a valere dello Strumento dell’UE per la ripresa (672,5 miliardi di Euro, dei quali 360 verranno erogati nella forma di prestiti). Per accedere a questi finanziamenti, tutti gli Stati Membri sono chiamati ad elaborare i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR), richiamati dai più, anche in Italia, con l’anglismo “Recovery Plan”.

Giovedì 18 Febbraio è stato finalmente pubblicato sulla GUUE (Serie L 57 del 18.02.2021) il Regolamento che disciplina il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (Reg. (UE) 2021/241). [1]
Il testo definitivo del Regolamento ha subito molteplici cambiamenti significativi – soprattutto nell’ambito del Capo I e del Capo II – rispetto alle proposte che erano state avanzate il 28.05.2020 dalla Commissione con la Comunicazione COM(2020) 408, sui quali tornerà con post successivi.

Next Generation EU e le prospettive della creazione di un’autentica “unione fiscale”

NGEU e il dispositivo giuridico – “EU Recovery Instrument” – attraverso il quale la Commissione raccoglierà risorse finanziarie straordinarie sui mercati dei capitali per finanziare il Piano per la Ripresa Europea costituiscono non solo una poderosa spinta dal lato della domanda al rilancio post-pandemico dell’economia europea, ma anche dei fattori di profondo rinnovamento dell’impianto delle politiche pubbliche dell’UE. Essi, inoltre, potrebbero parimenti contribuire in modo decisivo a ridisegnare il sistema di governance delle politiche europee e nazionali e ad indirizzare il processo di integrazione europea nella direzione di una autentica “unione fiscale”.
Vi sono almeno quattro fattori di rottura fin qui trascurati nel dibattito politico italiano:
• NGEU e la sua principale componente – il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, sulla cui base verranno finalizzati e poi attuati i PNRR – con il loro forte radicamento al “Green Deal europeo” e al concetto di “sostenibilità competitiva”, forniscono alle politiche europee del periodo 2021-2027 un riferimento strategico che, nelle proposte sul QFP post 2020 che erano state dibattute fino alla primavera scorsa, non si riusciva a scorgere. Il “Green Deal” e, sulla sua scorta, NGEU si configurano come i successori, per il nuovo decennio, di “Europe 2020”;
• NGEU si fonda su due novità politiche molto rilevanti: (i) il riconoscimento dell’esigenza di varare politiche fiscali espansive coordinate a livello europeo; (ii) l’implementazione di un autentico piano di emissione di titoli di debito europeo a lunghissima scadenza da parte della Commissione. Al momento si tratta di novità politiche temporanee. Esse, tuttavia, aprono la via a negoziati a livello europeo per la progressiva introduzione di una autentica “capacità fiscale” per l’UE e per il superamento del Patto di Stabilità e Crescita (da sempre volto a condizionare in senso restrittivo le manovre di bilancio degli Stati Membri). Questo è il principale motivo per cui tutti gli Stati dovrebbero utilizzare al meglio le risorse di NGEU. Solo utilizzandole bene si potrà arrivare, nel tempo, ad approvare forme di mutualizzazione dei debiti sovrani degli Stati (fin qui un autentico tabù);
• NGEU e il Dispositivo creano un ponte fra politiche europee (bilancio dell’UE) e politiche degli Stati Membri (bilanci nazionali) politicamente molto più solido e strutturato di quanto non sia stato finora il “semestre europeo”, anche perché quest’ultimo si è sempre configurato soprattutto come un vincolo a politiche fiscali espansive degli Stati. NGEU, invece, caratterizzandosi per il superamento, seppure in via eccezionale, dell’ostracismo assoluto registrato finora nei confronti di forme, anche blande, di mutualizzazione dei debiti nazionali, delinea un percorso verso una possibile “unione fiscale”; [2]
• NGEU rafforza lo stesso “semestre europeo”, dal momento che quest’ultimo, di fatto, ha avuto sempre una influenza più limitata di quanto sperato dalle Istituzioni dell’UE sulle politiche nazionali (si veda Wieser 2020). NGEU, potendo avvalersi, quale fattore di moral suasion, di 750 miliardi di Euro, potrà influenzare ben più radicalmente, nei prossimi anni, le riforme nei vari Stati, l’impronta generale delle politiche pubbliche nazionali e la loro coerenza “verticale” con quelle europee.

Va anche aggiunto, tuttavia, che la duplice natura di strumento di breve termine e di medio-lungo termine di NGEU desta alcune perplessità, che si possono riassumere come segue:
• la pandemia di COVID-19 è assolutamente uno shock esogeno che, anche per effetto dei provvedimenti di lock-down resisi necessari per contenere la diffusione del virus, ha avuto – e sta ancora avendo – pesanti ripercussioni su vari settori economici. Pertanto, da un lato è certamente apprezzabile lo sforzo, prima della Commissione e poi dei Capi di Stato e di Governo degli Stati Membri e del Parlamento Europeo, di valorizzare NGEU non solo come strumento di risposta immediata alla recessione, ma anche come veicolo di un marcato cambiamento dell’impronta delle politiche europee. D’altro canto, tuttavia, è lecito chiedersi se non vi sia stato un “overshooting” nelle buone intenzioni di definire un quadro di politica economica “future proof”. E’ condivisibile che transizione verde e transizione digitale diventino il faro delle politiche europee dei prossimi anni. Tuttavia, nella fase attuale l’esigenza immediata è quello di contenere le conseguenze più estreme sull’economia della pandemia (chiusure generalizzate di esercizi commerciali e anche di PMI, forte emorragia di posti di lavoro e rischi di pesanti ripercussioni anche per i liberi professionisti, con conseguenze sociali drammatiche). Per certi versi, si profila all’orizzonte la cupa profezia di Keynes, il quale scriveva che “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Fra qualche anno si avrà un’economia più verde e più “smart”, ma si potrebbe anche dover fare i conti con dei drammatici fenomeni di desertificazione produttiva e delle ancor più drammatiche conseguenze su diffusione della povertà e impoverimento della vita sociale degli individui;
• la transizione verde ha una rilevanza nel quadro di politica economica europeo che, dopo l’approvazione del “Green Deal europeo”, è di gran lunga ben superiore che non in precedenza. [3] Al tempo stesso, va ricordato che già la strategia “Europe 2020” si caratterizzava per un notevole “greening” delle politiche europee. Questa considerazione sul fatto che certe priorità di policy si pongano comunque in continuità con gli orientamenti del decennio appena concluso e con le priorità della Commissione Juncker vale a maggior ragione per la transizione digitale. [4]

A fronte delle decisamente nuove prospettive di policy che vengono delineate da NGEU, da consolidare nell’intero periodo di programmazione 2021-2027 attraverso il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale dell’UE, gli aspetti più sconcertanti del dibattito in Italia sono i seguenti:
• per vari mesi si è continuato solo a parlare del montante di fondi che verranno assegnati all’Italia tramite quello che, in modo inesatto, viene indicato come “Recovery Fund”, senza effettuare anche una approfondita analisi su fabbisogni di intervento (e finanziari), congruenza delle risorse potenzialmente disponibili per l’Italia quali sovvenzioni e di quelle disponibili quali prestiti rispetto ai fabbisogni finanziari e, non ultimo, sui profili di convenienza finanziaria del ricorso ai prestiti di questo strumento;
• i fondi del “Recovery and Resilience Facility”, nelle intenzioni malcelate del Governo “Conte II”, avrebbero dovuto essere utilizzati soprattutto per finanziare spese ordinarie del bilancio pubblico (alcune, peraltro, già sostenute), per anni tagliate a causa dei ben noti vincoli di bilancio riconducibili al Patto di Stabilità e Crescita (ora sospeso) e all’ingente stock di debito accumulato dal nostro Paese.

Le spese pubbliche già sostenute nel 2020, peraltro, appaiono troppo sbilanciate su misure di compensazione delle perdite economiche causate dalla pandemia e dai successivi provvedimenti di lock-down (ne sono emblematici i c.d. “ristori”) e ben poco orientate a tratteggiare un nuovo modello di sviluppo per il nostro Paese. Di riflesso sarà ben difficile che Commissione e Consiglio ECOFIN, in sede di valutazione dei PNRR, tollereranno l’inserimento di provvedimenti di spesa ordinari. Questo, a maggior ragione, se si considera il Reg. (UE) 2021/241 ha introdotto il principio di addizionalità. Il nuovo Governo presieduto da Mario Draghi, comunque, è già al lavoro per rivedere e migliorare la bozza del PNRR ora disponibile.
In merito alla debolezza del dibattito su NGEU in Italia, nel II semestre del 2020, preme richiamare uno degli articoli migliori pubblicati in Italia su NGEU, a firma di Mario Calderini, in cui l’economista del Politecnico di Milano ha evidenziato, opportunamente, che «la pervicacia con cui si continua a chiamare in Italia Recovery Fund quello che in Europa chiamano tutti Next Generation EU è la migliore sintesi possibile della confusione e della miopia che caratterizza la stesura del documento [n.d.r il PNRR] che l’Italia dovrebbe consegnare alla Commissione Europea per accedere agli ingenti stanziamenti previsti. [….]. Next Generation EU è un nome che è stato scelto dalla Commissione per rappresentare un principio molto semplice: stiamo prendendo a prestito delle risorse dalle generazioni future ed abbiamo l’imperativo non solo di usarle al meglio ma anche di investirle con un orizzonte di medio-lungo termine, affinchè il dividendo economico e sociale ritorni nelle tasche di chi ci ha prestato i soldi, le generazioni future». [5]
Come ha rimarcato in un contributo recente Marcello Messori (2021, p. 4), i fondi assegnati all’Italia «devono essere utilizzati non per le spese correnti (tranne quelle per la ricerca e per l’educazione o la formazione, che sono così contabilizzate) ma per realizzare investimenti, a meno che le spese correnti non siano uno strumento essenziale per l’attuazione di riforme strategiche».
Sfortunatamente in Italia, più che in altri Paesi europei, i contributi ex NGEU sono visti come “manna dal cielo” (Pisani-Ferry, in un contributo pubblicato ad Ottobre, ha autorevolmente evidenziato come in molti Paesi europei questi contributi siano visti come “money from heaven” e non come risorse finanziarie che, essendo in ampia parte prestiti, oppure garanzie del bilancio europeo, prima o poi andranno ripagate). Quel che è peggio, i contributi ex NGEU sono visti dai decisori politici italiani come strumenti volti, fondamentalmente, a rimediare ai danni economici della pandemia e non come uno stimolo a ripensare profondamente il modello di sviluppo di un “sistema-paese” saldamente collocato in un processo di integrazione europea davvero orientato alle prossime generazioni e più solidale. [6]

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Immagine ex Pixabay

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[1] Per una breve, ma molto utile presentazione del Dispositivo (in Inglese “Recovery and Resilience Facility”) si veda SERVIZIO STUDI DEL SENATO (2021), Il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, 11.02.2021.
[2] Come hanno rimarcato in un contributo di ricerca davvero pregevole Marco Buti e Marcello Messori (2020, p. 11), NGEU «rappresenta un punto di svolta nell’evoluzione della governance economica, in quanto segna un salto di qualità nel coordinamento delle politiche dell’Unione, affiancando alla sorveglianza ‘orizzontale’ rispetto alle politiche fiscali nazionali un coordinamento ‘verticale’ tra tali politiche e il bilancio europeo».
E’ di buon auspicio che questi aspetti siano stati rimarcati autorevolmente dal nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi, che venerdì scorso, partecipando all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti, ha evidenziato che «mai nella storia dell’UE, i governi avevano tassato i loro cittadini per dare il provento di questa tassazione ai cittadini di altri Paesi dell’Unione. È avvenuto con i trasferimenti a fondo perduto stabiliti dal Next Generation. Si tratta di una straordinaria prova di fiducia reciproca che, se validata da scelte oneste ed efficaci, potrà un giorno sfociare nella creazione di un bilancio europeo comune da cui dovrebbero trarre maggior beneficio proprio i Paesi più fragili dell’Unione». Il testo completo dell’intervento è disponibile sul sito della Presidenza del Consiglio.
[3] Sulla centralità del “Green Deal europeo” nel quadro di policy europeo si veda il post del 10 Febbraio ‘Il “Green Deal europeo” quale riferimento strategico del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e di Next Generation EU‘.
[4] Queste riflessioni sui rischi legati alla duplice natura di strumento di risposta immediata e di strumento di medio-lungo termine di NGEU (e dei “Recovery Plan”) sono maturate grazie a dei preziosi suggerimenti del professor Massimo Bagarani (Università Telematica Guglielmo Marconi), uno dei massimi esperti italiani di politica regionale e politica economica europea.
[5] Cfr. CALDERINI M. (2020), Lo show del Recovery Fund, La Repubblica, 14.09.2020.
[6] Su rischi e opportunità di carattere politico legate al varo del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza si vedano:
BUTI M., MESSORI M. (2020), Next Generation EU: una guida ragionata; LUISS SEP, Policy Brief 29/2020
DARVAS Z. (2020) The EU’s recovery fund proposals: crisis relief with massive redistribution, BRUEGEL Blog, 17 June 2020
DARVAS Z. (2021) The nonsense of Next Generation EU net balance calculations, BRUEGEL Policy Contribution n. 3/2021
GUTTEMBERG L., HEMKER J., TORDOIR S. (2021), Everything will be different. How the pandemic is changing EU Governance, Hertie School, Jacques Delors Centre, Policy Brief
MESSORI M. (2021), Il piano italiano di ripresa e resilienza: come utilizzare una straordinaria opportunità; LUISS SEP, Policy Brief 1/2021
PISANI-FERRY J. (2020), European Union recovery funds: strings attached, but non tied up in knots; BRUEGEL, Policy Contribution n. 19/2020
WIESER T. (2020), What role for the European Semester in the recovery plan? European Parliament – Economic Governance Support Unit, PE 651.368

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