«da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.»
La statistica
Trilussa
(poeta che pubblicava in “romanesco”)
Prime considerazioni sulle proposte della Commissione sui Fondi Strutturali post 2027
Il 16 luglio scorso la Commissione ha avanzato le proposte ufficiali sul Quadro Finanziario Pluriennale 2028-2034 e sui principali strumenti di finanziamento.
Una delle grandi novità della programmazione dei fondi europei 2028-2034 è l’introduzione di un unico Fondo – Fondo Europeo per la Prosperità e la Sicurezza Sostenibili in campo economico, territoriale, sociale, rurale e marittimo – che raccoglie tutti gli strumenti di finanziamento europei caratterizzati da una pre-allocazione di finanza del bilancio europeo a livello nazionale, tra cui i Fondi Strutturali.
Questo Fondo “unico” sarà attuato tramite dei Piani di Partenariato Nazionali e Regionali (PPNR) e, quindi, si può anche indicare come Fondo PPNR.
La proposta di Regolamento su questo Fondo “unico” per le politiche strutturali – Comunicazione COM(2025) 565 – prevede che esso persegua cinque grandi Obiettivi Generali (OG). Il primo OG corrisponde, di fatto, alla missione della politica di coesione (recita, infatti: “Ridurre gli squilibri regionali l’arretratezza delle regioni meno favorite e promuovere la cooperazione territoriale europea”).
Se consideriamo la grande novità del Fondo “unico” e quella, gemella, della formulazione di 27 Piani di Partenariato Nazionali e Regionali (Piani “unici” per ciascun Stato Membro) – chiaramente informati all’esperienza dei PNRR – è evidente che le prese di posizione di Comitato delle Regioni, Conference of Peripheral Maritime Regions (CPMR), Parlamento Europeo e, in Italia, della Conferenza Stato Regioni sul rischio di una marginalizzazione delle Amministrazione Regionali sia nella fase di programmazione che in quella di attuazione di Piani “unici” nazionali che danno corso a una congerie di politiche pubbliche appaiono più che fondate.
Inoltre, vanno approfonditi con attenzione tre aspetti oltremodo spinosi, avendo essi anche implicazioni di rilievo sulla distribuzione delle risorse che verranno stanziate per la politica di coesione:
• appare meno rilevante che nei periodi 2014-2020 e 2021-2027 la classificazione funzionale delle regioni in “meno sviluppate”, “in transizione” e “più sviluppate” e nella proposta di Regolamento sui PPNR non viene specificato se le regioni amministrative di riferimento continueranno ad essere quelle NUTS II;
• è prevista una esplicita riserva di risorse pubbliche solo per le regioni “meno sviluppate”;
• la riserva di risorse pubbliche per quelle “meno sviluppate” sarà comunque una riserva a livello nazionale (e, quindi, il suo utilizzo sarà ampiamente indirizzato dai Governi centrali). [1]
La questione della formulazione e della gestione degli interventi di politica economica intesi a ridurre gli squilibri regionali (politica regionale) è molto complessa.
Qui mi limiterò a ricordare che, a fronte di un nome simbolico e altamente evocativo, la politica di coesione nei suoi termini essenziali non è altro che la politica regionale dell’UE. Proporla come una delle tante politiche pubbliche che saranno finanziate dal Fondo “unico” del periodo post 2027 lascia chiaramente intendere che nei vari Uffici della Commissione sarebbe utile qualche copia di buoni manuali di politica economica.
Inoltre, una politica regionale è per definizione una politica pubblica che tiene conto delle dinamiche di sviluppo pregresse delle varie aree territoriali, delle dotazioni naturali e delle dotazioni “costruite” di fattori – seguendo l’approccio del “diamante di Porter” (dal nome del grande esperto di pianificazione strategica e management Michael Porter) – dei loro punti di forza e delle loro debolezze, delle vocazioni produttive e anche della loro dotazione di fattori soft (il c.d. “capitale sociale”). [2]
Se, oltre a proporre dei Piani “unici” nazionali, si va anche a indebolire finanche la classificazione funzionale delle regioni europee, è forte il rischio che nell’ambito di questi Piani si delineino politiche di sviluppo strutturale one size fits all.
E un approccio di questo tipo è, quasi per definizione, la negazione della politica regionale.
I divari di sviluppo regionali nell’UE sulla base del Regional Innovation Index
La Commissione Europea pubblica, da vari anni, i risultati di una indagine periodica intesa a investigare su propensione all’innovazione e competitività relativa delle regioni dell’UE (e di alcuni Stati del territorio europeo e del Regno Unito) sulla base della metodologia del Regional Innovation Scoreboard. L’indagine non è altro che l’applicazione a livello regionale dell’indagine sugli Stati Membri denominata European Innovation Scoreboard.
Il Regional Innovation Index (RII) è un indicatore sintetico ricavato come media non ponderata di 23 indicatori semplici, che fanno riferimento a:
• quattro ambiti (condizioni di contesto, investimenti pubblici e privati, attività innovative; impatti di ricerca e attività innovative);
• dodici dimensioni dell’innovazione.
Posta la media UE a 27 quale base 100, in base al RII tutte le regioni vengono classificate in quattro gruppi:
• leader regionali dell’innovazione (RII superiore al 125%);
• innovatori forti (RII compreso fra 101 e 125%). Vi si collocano 3 regioni NUTS II italiane (Provincia Autonoma di Trento, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia);
• innovatori moderati (RII compreso fra 70 e 100%). Vi si collocano ben 17 regioni NUTS II del nostro Paese;
• innovatori emergenti (RII inferiore al 70% della media UE27). Vi si colloca la Val d’Aosta.
Com’è noto dagli studi di questa affascinante e utilissima disciplina che è la Statistica all’università, già di per sé una media è un indicatore utilissimo su una data distribuzione frequenza, ma fa anche perdere di vista la variabilità del fenomeno (come aiuta a capire bene anche la famosa poesia sul “pollo di Trilussa”, poeta e giornalista che pubblicava in “romanesco”, e la statistica). Questo vale, a maggior ragione, se si considerano indicatori sintetici che “sintetizzano” altri indicatori medi.
Ciò detto, anche considerando le sole regioni NUTS II italiane, se confrontiamo Provincia Autonoma di Trento (con un RII pari a 106,1) e Val d’Aosta (69,0), è evidente che vi sono divari rilevanti di competitività fra le regioni e, di riflesso, si dovrà intervenire con politiche per la scienza e la tecnologia, politiche industriali e con interventi di aggiornamento delle competenze differenziate.
Fig. 1 – Posizionamento competitivo delle Regioni italiane in base al Regional Innovation Index
Essendo il Regional Innovation Scoreboard una indagine periodica, si possono anche effettuare delle analisi longitudinali (anche se le comparazioni è bene farla con una certa cautela, in quanto nel corso del tempo la “composizione” dell’indicatore sintetico RII è stata modificata e questo si è verificato anche rispetto all’edizione del 2023). Una siffatta analisi consente di ricordare anche che una data situazione socio-economica di un territorio è una fotografia e che quella fotografia cambia nel tempo. E, quindi, cambiano sia gli indicatori, che le domande pubbliche che verranno avanzate dagli stakeholder locali.
A tale riguardo, propongo un breve focus sulle tre regioni NUTS II italiane che sono collocate per il periodo in corso nella categoria delle Regioni In Transizione (Abruzzo, Marche e Umbria). Questo sia per il fatto che, essendo a metà del guado, hanno bisogno di interventi di sostegno che, auspicabilmente, dovrebbero accompagnare verso un approdo fra le regioni europee più forti, che per il fatto che, essendo vicine al borgo natio, le conosco un po’.
Le tre regioni, nel periodo 21-27, si collocano fra quelle “in transizione” con percorsi ben diversi:
• l’Abruzzo, come indicano molteplici indicatori economici, è fra le regioni italiane che hanno superato meglio lo shock della pandemia e sta registrando i segnali più interessanti di un cambio di passo del sistema produttivo (pensiamo all’importanza e alle prospettive di ulteriore sviluppo per l’intera economia regionale che ha il polo del farmaceutico);
• le Marche e l’Umbria si erano sempre collocate, sin dalla riforma dei Fondi Strutturali del 1988, nell’ampio gruppo delle regioni più sviluppate. Come conseguenza degli effetti disastrosi della lunga fase di crisi reale successiva agli shock finanziari negli Stati Uniti – verificatesi fra 2006 e 2008 – le due regioni hanno registrato fenomeni di arretramento economico, per cui si sono venute a trovare nella fascia delle regioni “in transizione”.
Il confronto fra l’edizione 2023 del Regional Innovation Scoreboard e quella di quest’anno (si veda la tavola sinottica inserita nella figura che segue, che riporta i valori del RII in queste regioni nei due anni) conferma le esigenze ben diverse di queste regioni. Marche ed Umbria registrano in due anni una marcata riduzione del RII e, quindi, devono saper elaborare interventi volti a contrastare un autentico declino economico. Questo vale, in particolare, per le Marche che dovrà rigenerare dei modelli di sviluppo alternativi a quello distrettuale, dopo che questo è stato destabilizzato dalla lunga fase di crisi reale già richiamata poc’anzi.
Per l’Abruzzo si pone la necessità, nei prossimi anni, di delineare interventi che sappiano consolidare ulteriormente il percorso di crescita e quello di rafforzamento qualitativo della sua base industriale.
Ma senza dimenticare la dura realtà delineata dal RII. Anche per questa regione, infatti, il RII registra una flessione significativa rispetto al valore rilevato nel 2023.
Queste sembrano considerazioni un po’ scontate. Ma vanno sempre fatte quando si delineano delle strategie di sviluppo regionale (e, quindi, quando si elaborano dei Programmi di sviluppo di una regione, siano essi finanziati da finanza pubblica europea o nazionale. Se venisse confermata la proposta di adottare 27 Piani di Partenariato Nazionali e Regionali, anche non considerando alcune criticità politico-istituzionale di non poco conto, potrebbe facilmente accadere che si perda di vista i seguenti rischi:
• si trascurano le domande differenziate di politiche pubbliche che vengono dai vari territori;
• si effettuano delle analisi dei problemi dei territori troppo ancorate a dei freddi numeri e poco attente alle letture di quei numeri effettuate da coloro che quei numeri li sentono tutti i giorni sulla loro pelle e, quindi, che li sanno spiegare anche meglio del più bravo degli statistici italiani;
• si adottano degli interventi di policy un po’ generalisti, scarsamente pertinenti rispetto agli specifici problemi dei sistemi produttivi e delle comunità locali.
Fig. 2 – Valori del Regional Innovation Index delle Regioni in Transizione nel 2023 e nel 2025
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[1] Cfr.: Conference of Peripheral Maritime Regions; What’s in it for your region? Regional categories and their treatment in the MFF proposal; Technical Note, September 2025.
[2] Per un ottimo inquadramento teorico ed operativo della politica industriale si vedano: Criscuolo C., Gonne N., Kitazawa K., Lalanne G. (2022), Are industrial policy instruments effective? A review of the evidence in OECD countries. OECD Science, Technology and Industry Policy Papers. No. 128; OECD Publishing, Paris. Warwick K. (2013), Beyond Industrial Policy: Emerging Issues and New Trends. OECD Science, Technology and Industry Policy Papers. No. 2; OECD Publishing, Paris.








