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Terziarizzazione delle aziende agricole: rischi e opportunità

Terziarizzazione delle aziende agricole, agricoltura sociale e “secondo welfare”

Il dibattito sull’agricoltura sociale si interseca con quello su due altri quasi-concetti che, nonostante siano oggetto di crescente attenzione da qualche anno, hanno un perimetro e delle caratteristiche distintive ancora non ben definiti, ossia:
innovazione sociale;
“secondo welfare”.

Tradizionalmente i servizi di cura alla persona e alla comunità nei Paesi dell’Europa continentale sono finanziati dal Settore Pubblico (tramite la fiscalità generale), anche se questo non necessariamente implica parimenti l’erogazione diretta da parte dell’operatore pubblico, in quanto la fornitura dei servizi di welfare, sovente, viene esternalizzata ad operatori privati (commerciali e non profit).

Percorso rurale

Immagine ex Pixabay

Nell’ambito del comparto dei servizi di cura, peraltro, è da sempre molto rilevante l’intervento aggiuntivo delle organizzazioni private senza scopo di lucro e, più recentemente, di organizzazioni “ibride”, ossia organizzazioni che, pur muovendosi secondo logiche di mercato (orientamento commerciale), hanno la missione di risolvere problemi sociali e problemi di interesse collettivo, di cui in Europa, come già accennato, tradizionalmente si è sempre fatto carico il Settore Pubblico.
Non a caso, anche in Italia si dibatte sempre più delle nuove imprese “a vocazione sociale” (start-up innovative a vocazione sociale e benefit corporation) che, in un rapporto di partenariato con il Settore Pubblico e anche con operatori privati, possano affrontare efficacemente vecchi e nuovi problemi sociali.
Tali nuove imprese “a vocazione sociale” e i progetti di innovazione sociale vengono in misura crescente indicati con l’etichetta “secondo welfare”, per distinguerli da un “primo welfare” garantito dall’intervento pubblico.
Come rimarcano Maino e Ferrera, “il secondo welfare si aggiunge agli schemi del primo welfare (quello pubblico), integra le sue lacune, ne stimola la modernizzazione sperimentando nuovi modelli organizzativi, gestionali, finanziari e avventurandosi in sfere di bisogni ancora inesplorate (e in parte inesplorabili) dal pubblico” (Maino F., Ferrera M., Primo rapporto sul secondo welfare in Italia, Centro di ricerca Luigi Einaudi, Torino, 2013, p. 7).

Il dibattuto sull’agricoltura sociale, pertanto, si interseca con quello sulla necessità di sostenere il “secondo welfare” e l’innovazione sociale anche nelle zone rurali, dal momento che è indubbio che fin qui analisi e interventi di policy a sostegno della sperimentazione e dell’imprenditoria sociale si sono concentrate solo sulle aree urbane. [1]
Nel paragrafo che segue evidenzio delle criticità di cui non si tiene abbastanza conto nei nuovi PSR regionali, che sostengono l’agricoltura sociale con diversi interventi.

 Agricoltura sociale: rischi e opportunità

La terziarizzazione delle aziende agricole dischiude certamente delle opportunità importanti, soprattutto in quelle aree – su tutte le “aree interne” – caratterizzate da un sistema agricolo poco redditizio, se non quasi di sussistenza.
E’ una opportunità per le aziende ch diversificano e lo è anche per la stessa comunità locale, nella misura in cui la fornitura di certi servizi aggiuntivi vada a colmare delle carenze nell’offerta locale di servizi di welfare.

Lo schema che segue esemplifica la mia interpretazione del dibattito sulla terziarizzazione delle aziende agricole, per cui, come già indicavo nel post “Multifunzionalità e natura ‘terziaria’ delle attività agricole. Cosa sono le imprese agro-sociali?” del 30 agosto 2016, le aziende agricole hanno consolidato nel tempo, con il supporto delle politiche di sviluppo rurale, la produzione di certi “beni pubblici” che le caratterizzano come aziende “multifunzionali”.

Più di recente il concetto di “multifunzionalità” – inizialmente più legato a produzioni, forme di produzioni e attività proprie del comparto agricolo – si è andato orientando verso il concetto di “agricoltura sociale”, per cui le aziende agricole sarebbero in grado di fornire, per sommi capi, anche i seguenti servizi:
• servizi per lo sport, ricreativi, artistici e culturali;
• servizi per la prima infanzia e per i bambini in età scolare (agri-nidi, servizi educativi ad hoc ed attività di gioco e socializzazione);
• servizi di inserimento lavorativo “protetto” per oggetti svantaggiati (da ex alcolisti a portatori di handicap);
• servizi riabilitativi, terapeutici e socio-assistenziali per soggetti “fragili” (persone diversamente abili, malate e anziane). [2]

Figura – Terziarizzazione delle aziende agricole

servizi-welfare-zone-rurali_post-30-09

A mio modesto avviso, vi sono tuttavia diversi elementi da approfondire a livello microeconomico, come già anticipato in post precedenti volti a sollecitare una più attenta riflessioni su “natura” e “modelli di business” delle imprese agro-sociali.

Vi sono, tuttavia, altri elementi critici da approfondire meglio che riguardano più specificamente la relazione fra agricoltura sociale, innovazione sociale nelle aree rurali e “secondo welfare”. I principali sono:
1. Quanto è ampio il perimetro dell’agricoltura sociale?
• possono rientrarvi tutti i servizi sanitari e socio-assistenziali?
• è corretto inserirvi servizi per lo sport, ricreativi, artistici e culturali?
• possono rientrarvi altri servizi per le comunità locali, quali tutela e valorizzazione delle tradizioni locali, sagre e attività folkloristiche, centri comuni per attività sociali?
2. Come collocare servizi più “commerciali”, quali centri benessere, agriturismi, attività formative?
3. Servizi dell’agricoltura sociale e soggetti che vi operano sono uno strumento importante per sviluppare un “secondo welfare” che va a completare l’intervento pubblico nella produzione di “beni pubblici” e “beni di merito” nelle zone rurali, oppure l’ampliamento del novero di servizi di cura erogati nel comparto agricolo è principalmente il portato della “ritirata” del sistema di welfare pubblico?

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[1] Su questi temi si veda anche la Nota 9/2016 “Agricoltura sociale e nuovi servizi di welfare nelle zone rurali: i finanziamenti del PSR Lazio 2014-2020, liberamente scaricabile dalla Sezione OpenLibrary di questo sito.

[2] A titolo di completezza si riportano le attività che caratterizzano l’agricoltura sociale ai sensi dell’art. 2 della L. 241/2015 che la disciplina:
• inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e svantaggiati e di minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale,
• servizi per le comunità locali (sviluppo di attività e di capacità di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana),
• prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e ricreative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati,
• progetti finalizzati all’educazione ambientale ed alimentare, alla salvaguardia della biodiversità, nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie didattiche e sociali (quali iniziative di accoglienza e soggiorni di bambini in età pre-scolare, e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica).

[3] Avrò il piacere di approfondire tali questioni nel corso del Seminario del CEIDA “Sviluppo locale e servizi di welfare nelle zone rurali: i finanziamenti dei Programmi di Sviluppo Rurale 2014-2020 per gli Enti Locali” (Roma, 9 e 10 febbraio 2017).

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