Questo articolo è in italiano / This post is in italian language Questo articolo è in italiano / This post is in italian language

Appunti su alcuni elementi basilari del Project Management

‹‹the more you know about your project, the more you are able to manage it››
(PMBOK, 2000 edition, p. 6)

Gli elementi fondamentali del Project Management nell’approccio del Project Management Institute

La Guida più conosciuta al mondo sul Project ManagementA Guide to the Project Management Body Of Knowledge (PMBOK) – lo definisce come ‹‹l’applicazione di conoscenze, abilità, strumenti e tecniche alle attività di un progetto al fine di soddisfarne i requisiti››. [1]
Questa Guida, progressivamente perfezionata dal Project Management Institute (PMI), individua a pagina 6 dell’edizione del 2000 cinque ‘aree di processo’ (fasi di attività) di un progetto:
• avvio (initiating);
• pianificazione (planning);
• esecuzione (executing);
• controllo (control);
• chiusura (closing).

Nell’approccio del PMI queste cinque ‘aree di processo’, congiuntamente a nove ‘aree di conoscenza’ riportate nella Figura che segue, definiscono integralmente la ‘disciplina del Project Management‘.

Questa breve nota esprime delle riserve su alcuni concetti che definiscono la ‘disciplina del Project Management‘ secondo il PMI e, più specificamente, fornisce qualche suggerimento operativo su come presentare meglio – e, operativamente, rendere più efficace – la fase di avvio (fase che viene anche indicata come fase di ideazione o fase di definizione).

Plan Do Check Act e ‘aree di processo’ del PMBOK

‹‹Il [Plan Do Check Act] PDCA è un modello fondamentale per il miglioramento continuo della qualità e per promuovere una cultura della qualità basata sul miglioramento continuo dei processi››. [2]

Il PDCA è, in genere, rappresentato come un ciclo (v. Figura 2). Il PDCA, non a caso, viene anche indicato come ‘ciclo di Deming’ dal nome di Edward Deming, uno degli esperti che hanno maggiormente contribuito all’affermazione del Total Quality Management (TQM) e del controllo di qualità. [3]
Alla base del “ciclo del progetto” generale vi è la semplice considerazione che ogni progetto (ogni investimento) ha uno specifico ciclo di vita, in cui a una fase iniziale di ideazione/pianificazione segue un processo di esecuzione, a latere del quale vi è una fase di controllo delle realizzazioni e dei risultati (indicata, in generale, come ‘controllo di qualità’). Ogni progetto (processo) si chiude con una fase finale – ‘Act’ – in cui si tirano le somme, si cerca di apprendere dall’esperienza e si apportano quei correttivi ai processi decisionali ed operativi che, dovrebbero garantire, migliori risultati (più efficienza/qualità) nel ciclo successivo.

Mutatis mutandis queste considerazioni sono parimenti alla base della individuazione, da parte del PMI, di cinque ‘aree di processo’ per l’esecuzione generale dei progetti. Nel grafico che segue si evidenzia che le cinque ‘aree di processo’ del PMI – riconducendo la fase di avvio (definizione) e la fase di pianificazione al blocco ‘Plan’ del PDCA – sono assolutamente pertinenti con i blocchi del PDCA.

Per capire meglio le ‘aree di processo’ del PMI è molto utile la c.d. ‘metodologia dei 12 step’ di Antonello Bove, esperto italiano che con questa metodologia, incrociando sapientemente ‘aree di processo’ e ‘aree di conoscenza’ del PMBOK, ha fornito una interessante ‘work breakdown structure’ delle aree di processo ‘definizione’ e ‘pianificazione’. [4]
Bove (v. p. 40 del suo manuale) individua 12 step dallo sviluppo dell’idea al varo definitivo del progetto riportati nel grafico che segue. [5]

Una proposta volta a migliorare la fase di ‘definizione’ dei progetti

Questo approccio di Bove è assolutamente condivisibile, ma risente di uno dei limiti fondamentali dell’impostazione del PMI. Nell’impostazione del PMI (e, di riflesso, nel manuale di Bove) sono assolutamente carenti l’analisi dei problemi (o, se si preferisce, l’analisi dei bisogni) dei beneficiari finali dei progetti, l’analisi degli stakeholders (analisi che deve essere necessariamente alquanto articolata quando si formulano dei progetti di sviluppo socio-economico e/o dei piani di sviluppo locale) e l’analisi degli obiettivi dei progetti (ossia, l’analisi delle possibili soluzioni dei problemi dei beneficiari). Ne consegue che:
• i progetti di cui si parla nel PMBOK sembrano elaborati in vitro e si configurano come delle autentiche ‘to-do-list’. I progetti di sviluppo socio-economico, invece, specialmente se sono orientati a migliorare la fornitura di servizi di cura alla persona, si prestano molto meno a una pianificazione di dettaglio delle attività. Anzi, molto spesso richiedono delle revisioni in itinere rilevanti, proprio a seguito dell’interazione diretta con i beneficiari;
• l’approccio alla formulazione e gestione dei progetti è nitidamente sbilanciato verso la c.d. progettazione ‘per attività’, quando, invece, almeno dalla fine degli anni Novanta si è andato affermando sempre di più un approccio alla formulazione dei progetti ‘per obiettivi’, sia presso le organizzazioni, sia presso la comunità di esperti impegnati nella formulazione di progetti di sviluppo socio-economico.

A mio modesto avviso, bisognerebbe apportare a questa ‘metodologia dei 12 step’ di Bove – nell’insieme assolutamente condivisibile – alcuni correttivi che riguardano la fase di avvio (o definizione) e anche la stessa indicazione degli elaborati che devono essere realizzati in questa fase. Rispetto a questo aspetto la letteratura internazionale e lo stesso PMBOK, in vero, non sono chiari affatto, indicando con termini diversi gli stessi documenti (vedi il fatto che sovente vengono usati come sinonimi ‘statement of work’ e ‘project management scope statement’) e, soprattutto, non distinguendo in modo sufficientemente nitido obiettivi e contenuti del ‘business case’ e dello ‘ statement of work’.
Per quanto concerne la fase di pianificazione è assolutamente condivisibile la sua articolazione interna proposta da Bove.

A parere di chi scrive la fase di avvio (definizione) dovrebbe essere suddivisa in tre fasi (step):
1. la fase di identificazione;
2. la fase di analisi;
3. la fase di formulazione.

Nella fase 1 di identificazione si sviluppano le seguenti attività:
• identificazione di problemi e/o bisogni insoddisfatti;
• identificazione del gruppo target che esprime certe necessità e/o deve superare certe criticità, ossia beneficiari diretti e indiretti del progetto; [6]
• identificazione di possibili soluzioni per i problemi riscontrati dal gruppo target (in genere, si parla di ‘sviluppo della ‘idea chiave’ del progetto);
• identificazione degli stakeholders da coinvolgere (e non coinvolgere) nel progetto (fra questi vanno annoverate anche le parti lese, ossia quei portatori di interesse che, per vari motivi, potranno subire delle perdite – economiche e non – a causa del progetto e che, quindi, opereranno per ostacolarne la realizzazione).

La fase di identificazione a mio avviso non richiede necessariamente l’elaborazione di documenti strutturati. Eventualmente si può redigere una breve nota con le prime idee sul progetto, anche facendo ricorso a una semplice tavola sinottica, che, coerentemente con il gergo anglosassone ampiamente usato nel Project Management, si potrebbe chiamare ‘project brief’.

Nella fase 2 di analisi (che si può considerare una sorta di studio di ‘pre-fattibilità’) si eseguono le seguenti attività:
• analisi dei problemi/bisogni (si ricordi, ad esempio, che in tutti gli ‘studi di fattibilità’ uno degli elementi cardine è l’analisi della domanda);
• analisi approfondita di beneficiari diretti e indiretti del progetto;
• analisi della pertinenza delle soluzioni ipotizzate per i problemi riscontrati dal gruppo target e anche della loro fattibilità (avendo cura che le soluzioni non siano solo pertinenti, ma siano anche compatibili con abitudini/routines dei destinatari e, nei limiti del possibile, siano sviluppate coinvolgendoli direttamente);
• analisi degli stakeholders, del tipo di contributo che potrebbero apportare al progetto i partners e anche delle possibili azioni ostative da parte delle ‘parti lese’.
La fase di analisi si dovrebbe chiudere con l’elaborazione del ‘business case’ che, a mio parere, dovrebbe essere un documento molto semplice, volto solamente a descrivere in termini coincisi i ‘termini della questione’ (il ‘case’ appunto), con la finalità di fissare le idee in merito ai motivi che spingono a formulare un certo progetto. Per usare il gergo usato da varie Direzioni Generali della Commissione Europea si potrebbe indicare questo documento anche come ‘concept note’. [7]

Nella fase 3 di formulazione si portano a termine le seguenti attività:
• formulazione della strategia; [8]
• definizione dell’ambito (‘scope’) del progetto (intendendosi per scope’ del progetto la chiara individuazione di cosa sia fattibile e da inserire nel progetto e di cosa non vada inserito); [9]
• identificazione di azioni portanti del progetto, milestones (punti di svolta del progetto) e deliverables (prodotti da consegnare al committente, che possono essere dei casi di studio nel caso dell’elaborazione di un piano di sviluppo locale, o dei prototipi del prodotto finale commissionato da un’azienda cliente);
• stima dei tempi delle fasi di attività principali (e dell’intero progetto), dei costi e dei possibili rischi di ‘scope creeping’, da intendersi come rischi di un ampliamento, in corso d’opera, della portata e, quindi, delle attività da realizzare (questa attività corrisponde, di massima, a quella che Bove indica come analisi del ‘triple constraint’ del progetto);
• individuazione delle assunzioni e dei principali rischi di progetto (le assunzioni sono variabili esterne al progetto o anche situazioni di contesto abbastanza note e/o prevedibili, ma su cui non vi è modo di intervenire).

Tale fase si conclude con l’elaborazione di una ‘proposta di progetto’ (che si potrebbe anche indicare come ‘progetto preliminare’ o, per usare un anglismo molto usato, come ‘statement of work’). Qui sarei dell’avviso che non sia condivisibile l’idea di Bove che la prima fase di ideazione si chiuda con il ‘project chapter’. Si chiude con la ‘proposta di progetto’.

Questa affermazione muove dalla constatazione che il ‘project charter’, riprendendo alla lettera le indicazioni del PMBOK, dovrà essere il documento autorizzativo all’avvio del progetto. [10] L’aspetto ampiamente trascurato dalla manualistica sul Project Management è che fra la fase di definizione e la fase di pianificazione vi è un ‘burrone’, ossia una fase ‘fantasma’ che è quella dell’approvazione del progetto. [11]
Il ‘progetto preliminare’ potrebbe essere:
• approvato. Solo nel caso di approvazione verrà ratificato un contratto o una lettera di intenti nel caso di rapporti commerciali B2B, o all’interno di un’azienda verrà elaborato un documento di autorizzazione formale da parte di un socio/dirigente che autorizza i manager alla realizzazione del progetto. Il documento autorizzativo – contratto fra le parti nel caso di rapporti commerciali – sarà il vero ‘project charter’. Personalmente sarei dell’avviso che per ‘project charter’, quindi, vada inteso semplicemente il documento autorizzativo del progetto che, ovviamente, riporterà in ampia parte o integralmente il ‘progetto preliminare’;
• respinto. Ciò che resterebbe sarebbe il ‘progetto preliminare’ e non verrebbe mai elaborato un ‘project charter’ (e non verrebbe realizzato quel progetto). [12]

Nella fase successiva di pianificazione (che chiude il blocco ‘Plan’ del PDCA) verrà elaborato il progetto definitivo (o ‘piano di progetto’).
Queste considerazioni personali volte a migliorare la presentazione e la significatività della fase di avvio del progetto sono sintetizzate nel grafico che segue. A mio modesto avviso solo articolando la fase di avvio del PMBOK nelle tre sub-fasi ‘Identificazione’, ‘Analisi’ e ‘Formulazione’ si restituisce la giusta valenza al famigerato ‘approccio problem solving’ che, sovente, non è affatto praticato in modo soddisfacente.

Il grafico collocato in fondo a questo post riassume le mie indicazioni in merito alla necessità di considerare una fase intermedia (cruciale) fra quelle di ‘avvio’ e ‘pianificazione’ del PMBOK, ossia la fase di ‘approvazione’ (o fase di ‘finanziamento’). Se e solo se la proposta di progetto verrà approvato:
• verrà ratificato il ‘project charter’;
• verrà effettivamente dato corso al progetto (la cui versione definitiva – ‘project scope statement’ – sarà completata al termine della fase di ‘pianificazione’). [13]

******

[1] Varie edizioni del PMBOK (A Guide to the Project Management Body Of Knowledge – PMBOK) sono state rilasciate dal Project Management Institute (PMI) a partire dagli anni Ottanta.
La sede principale del PMI si trova negli Stati Uniti, ma ha delle sedi locali in tutto il mondo (anche in Italia). E’ un’associazione che è stata costituita sul finire degli anni Sessanta da un gruppo di consulenti privati per favorire la diffusione della cultura e delle tecniche del Project Management per la gestione dei progetti complessi, soprattutto all’interno delle aziende e per la gestione di interventi pubblici di infrastrutturazione del territorio.
Sulle origini del project management si veda il capitolo 3 della più recente edizione in Italiano del manuale di Harold Kerzner (Project Management 2.0. Strumenti, metodologie e metriche per il successo dei progetti; Hoepli, Milano, 2017).
[2] BASSI A., TAGLIAFICO M. (2010), Project manager al lavoro: strumenti e tecniche, F. Angeli, Milano, p. 93
[3] Ad essere precisi l’autore che ha sviluppato il PDCA è Walter Shewhart (considerato fra i progenitori del controllo statistico di qualità nella prima metà del Novecento). Infatti, viene anche indicato come ‘Shewhart Cycle’. Deming ha avuto il merito di favorire la diffusione del PDCA e di rafforzare la valenza strategica del blocco ‘Check’, che egli ha ribattezzato con ‘Study’ (in alcuni contributi si parla di ‘variante PDSA’ di Deming al PDCA).
[4] BOVE A. (2009); Project Management: la metodologia dei 12 step, Hoepli, Milano
Dello stesso autore si consiglia anche: BOVE A. (2011); Business planning, Hoepli, Milano
[5] Per quanto possa essere complesso, secondo molto esperti, un progetto può essere sintetizzato con i tre elementi del c.d. ‘triple constraint’ dei progetti (un obiettivo, una durata temporale definita e un budget finanziario), noto nella letteratura anche come ‘triangolo di Dempster’. Arthur Penland Dempster, professore emerito di matematica e statistica alla Harvard University, enfatizzava appunto questi tre aspetti – requisiti richiesti da beneficiari e/o sponsor, costi e durata definita – quali elementi-cardine di un progetto efficace e di qualità, rappresentabili come lati di un triangolo. Alcuni esperti, fra cui Bove, invece di inserire nel ‘triangolo di Dempster’ ‘ l’obiettivo generale del progetto inseriscono la ‘portata’ del progetto (‘scope’), come riportato nella Figura che segue.

A me pare eccessivo. Il ‘triangolo di Dempster’ è utile per dare una rappresentazione grafica sintetica del progetto e quindi è più opportuno indicare l’obiettivo generale del progetto e non l’intera lista delle attività e dei principali deliverables del progetto. Inoltre, sarei dell’avviso che sia più significativo indicare l’obiettivo generale che non l’intera lista delle attività e dei principali deliverables del progetto.

[6] Questi beneficiari cambieranno a seconda dell’ambito settoriale del progetto e/o della stessa organizzazione (potranno essere dei clienti di un fornitore specializzato nell’ambito di rapporti B2B, oppure delle persone indigenti destinatarie dei servizi socio-assistenziali di una organizzazione non profit).
[7] E’ buona regola generale, quando si elaborano delle proposte progettuali, ricordare che il ‘business case’ (o ‘concept note’) si concentra sulla domanda WHY? La proposta di progetto (o ‘full proposal’), invece, si concentra sulla domanda HOW?
[8] Per quanto concerne la formulazione della strategia, due ottimi strumenti di lavoro sono:
• l’Approccio di Quadro Logico (e la ‘matrice di Quadro Logico’ che ne costituisce l’output);
• la matrice ‘5Ws Questions + How.
Su questi strumenti si veda: BONETTI A. (2018); Progettazione per risultati, Logic Models e Approccio di Quadro Logico, Centro Studi Funds for Reforms Lab, Policy Brief 5/2018.

[9] Il termine ‘scope’ non è facilmente traducibile in Italiano. Si potrebbe tradurre come ‘ambito’ del progetto (oppure come ‘portata’ o anche, in modo più approssimativo, come ‘dimensione fisica’ del progetto). Il PMBOK, infatti, indica che l’area di conoscenza Project Management Scope (PMS). ‹‹include i processi richiesti per assicurare che tutte le attività da realizzare per sviluppare un progetto, e soltanto quelle attività, vengano inserite fra quelle per garantire il completamento del progetto›› (v. p. 51 dell’edizione del 2000 del PMBOK).
[10] ‹‹A project charter is a document that formally authorizes a project. […] It provides the project charter with the authority to apply organisational resources to project activities›› (PMBOK p. 54).
[11] A tale riguardo va ricordato che il “ciclo del progetto” dell’ex Ufficio di Cooperazione EuropeAid della Commissione – tradizionalmente schematizzato secondo un approccio “circolare” in sei fasi, in cui la chiusura di ogni fase è, in linea di principio, strettamente propedeutica all’avvio di quella successiva – nella versione del Manuale del 2001 riporta una specifica fase di finanziamento (fase che, fondamentalmente, corrisponde alla fase ‘fantasma’ qui richiamata). EuropeAid, nel più recente aggiornamento del Manuale (datato Marzo 2004), tuttavia, è passata dal tradizionale ciclo del progetto in sei fasi, come nel primo Manuale (1993) e nel Training Handbook del 2001, a un ciclo in cinque fasi, eliminando la fase di finanziamento. Questa scelta è molto discutibile.
EUROPEAN COMMISSION-EUROPEAID (2004), Aid Delivery Methods. Volume 1 Project Cycle Management Guidelines. Integrated Approach and Logical Framework, Evaluation Unit, Brussels.
L’espressione ‘burrone’ (o anche ‘valle della morte’) è ripresa, ovviamente, da uno dei libri di management più interessanti e utili che siano mai stati scritti, ossia ‘Crossing the Chasm’ di Geoffrey Moore (trad. italiana: Moore G. (2003), Attraversare il burrone. Promuovere e vendere prodotti high-tech al cliente del largo mercato, F. Angeli, Milano; ed. originale 1991).
[12] In merito a questa affermazione, a titolo di esempio, richiamo brevemente i processi di assegnazione di risorse pubbliche per la realizzazione di progetti attraverso gli ‘avvisi di finanziamento’ (quali le ‘call for proposal’ della Commissione Europea per l’assegnazione di fondi europei ‘a gestione diretta’). Una volta pubblicato l’avviso di finanziamento, le organizzazioni interessate ad accedere ai finanziamenti per realizzare dei progetti dovranno:
• elaborare una proposta di progetto;
• consegnare entro la data limite (deadline) la proposta di progetto;
• attendere che una commissione tecnica effettui una valutazione formale e di merito delle varie proposte progettuali e stili una graduatoria di queste per stabilire quali siano quelle ‘ammissibili’ (finanziabili) e quali siano quelle non finanziabili;
• verificare solo al termine della fase di valutazione (il ‘burrone’ di questo particolare progetto) se la ‘proposta di progetto’ è stata giudicata finanziabile o meno.

Nel caso di esito positivo (ossia la proposta di progetto viene finanziata), in genere seguono due step fondamentali:
• l’ente finanziatore (la Commissione Europea nel caso dei finanziamenti europei) e l’organizzazione proponente stipulano una ‘convenzione di sovvenzione’ (atto giuridico di approvazione del progetto), a cui viene allegata la ‘proposta di progetto’ che è stata giudicata tecnicamente ammissibile a beneficio (‘convenzione di sovvenzione e ‘proposta di progetto’ insieme costituiscono il ‘project charter’);
• l’ente finanziatore richiede entro 30 o 60 giorni la presentazione del ‘piano di progetto’ definitivo. Questa fase di attività di 30 o 60 giorni la possiamo identificare come la fase di ‘pianificazione’ del PMBOK e al termine di questa fase verrà elaborato il progetto definitivo (anche indicato come ‘piano di progetto’ o, per riprendere il gergo del PMBOK, ‘project scope statement’).
Mutatis mutandis, un ragionamento analogo si potrebbe fare nel caso di rapporti commerciali fra un fornitore di servizi professionali e un’azienda cliente. Solo se l’azienda cliente accetterà la ‘proposta di progetto’ (in alcuni casi dei semplici ‘preventivi’) verrà stipulato un contratto (‘project charter’) la cui parte tecnica sarà fedele alla ‘proposta di progetto’ (al ‘preventivo’).
Sui finanziamenti europei e sull’applicazione degli strumenti di Project Management alla c.d. ‘europrogettazione’ mi sia consentito rimandare a:
BONETTI A. (2013), Guida all’Europrogettazione, Centro Studi POLITEIA, Avigliano (PZ).
BONETTI A. (2017); La mappatura dei fondi europei 2014-2020, Centro Studi Funds for Reforms Lab; Guida 1/2017.
[13] Questo contributo è un ‘work in progress’ elaborato nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Funds for Reforms Lab ‘Theory of Change e valutazione di impatto dei progetti’.

Contact me!

If you have any question or you'd like to have more information about this post, you can write me using this form!