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Limiti cronici della PA italiana nella gestione dei Fondi Strutturali e processi di audit, monitoraggio e valutazione

La gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali e degli interventi finanziati dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) in diverse Regioni continua ad essere caratterizzata da limiti che sembrano quasi insormontabili. La descrizione di tali limiti, sovente, è discutibile anche laddove proposta in articoli accademici, dal momento che non muove da una approfondita analisi delle varie fasi del ciclo di policy making.
In questo post propongo, invece, una nota di viaggio da practitioner che, per il tipo di lavoro svolto, deve necessariamente calarsi nella concreta attuazione di certi procedimenti.
E’ una lettura severa di certi limiti cronici nella gestione delle organizzazioni pubbliche e dell’attuazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali. Al tempo stesso, vorrei ricordare che certi limiti gestionali si riscontrano anche per molte organizzazioni private. Questo post, quindi, si focalizza sui limiti gestionali delle organizzazioni pubbliche solo per il fatto che è quelle che conosco meglio.
In estrema sintesi, i limiti nella gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali, da un lato scontano il ruolo dominante nei processi di programmazione strategica dei decisori politici (malgrado i numerosi vincoli alla formulazione delle strategie dettati dai Regolamenti dell’UE) e, dall’altro, tendono a perpetuare lo strapotere decisionale dei decisori politici. Per essere più concreti, vorrei evidenziare che è chiara testimonianza di questa posizione il fatto che sono gli stessi dirigenti in posizione apicale della PA a sottovalutare o, peggio, tollerare con fastidio, il ruolo di cruscotto operativo dei Programmi del monitoraggio ed anche di audit e valutazione. Se i dirigenti della PA non riescono a cogliere o valorizzare la vera funzione di audit, monitoraggio e valutazione, è nell’ordine naturale delle cose che men che meno tengano in considerazione i risultati concreti dei Programmi e le “lezioni dell’esperienza” della loro attuazione i decisori politici.

Strategie di capacity building per la gestione dei Fondi Strutturali: i limiti della nota metodologica della Commissione “tabella di marcia per lo sviluppo delle capacità amministrative”

Il post illustra i principali limiti operativi della Guida del 2020 della Commissione sulle strategie di rafforzamento amministrativo per la gestione dei Fondi Strutturali (la c.d. “tabella di marcia per lo sviluppo delle capacità amministrative”).
Muovendo dall’impostazione seguita dal Development Programme delle Nazioni Unite (UNDP) che definisce le strategie di capacity building sulla scorta di tre “domande guida” (1. Capacity for why?; 2. Capacity for whom?; 3. Capacity for what?), il breve articolo sottolinea in primo luogo che un siffatto approccio – ampiamente desiderabile in generale – non si rintraccia minimamente nel contributo metodologico della Commissione. Inoltre, nella “tabella di marcia per lo sviluppo delle capacità amministrative” viene ampiamente trascurata l’importanza di differenziare la strategia di capacity building a seconda di: (i) macro-fasi e fasi operative dei processi di gestione in senso lato degli interventi cofinanziati dai Fondi Strutturali; (ii) macro-tipologia e tipologia degli interventi (regimi di aiuto, realizzazione di opere pubbliche, acquisti di forniture e servizi da parte della PA, interventi di sviluppo delle risorse umane); (iii) tipo di modalità attuativa (un conto è valutare la “capacità amministrativa” per gli interventi “a titolarità regionale” ed un conto è farlo per quelli “a regia regionale”, in relazione ai quali è strettamente necessario capire come incide sulla “capacità amministrativa” generale anche quella specifica dei soggetti attuatori degli interventi ammessi a beneficio, che agiranno da stazioni appaltanti)

Monitoraggio e valutazione dei progetti: la tecnica dell’Earned Value Management

L’approccio convenzionale alla misurazione dell’avanzamento dei progetti e dei Programmi complessi cofinanziati dai Fondi Strutturali è di fatto basato sul monitoraggio di Key Performance Indicators (indicatori di efficienza ed indicatori di efficacia relativi sia alla capacità di realizzare gli output programmati all’inizio, sia alla capacità di spendere le risorse). I riferimenti del monitoraggio e della valutazione sono in primo luogo degli indicatori “di avanzamento” (fisico e finanziario). Si tratta di un approccio “a compartimenti stagni”, per cui si monitora l’avanzamento di questi indicatori e si formulano dei giudizi su avanzamento fisico, avanzamento finanziario e avanzamento procedurale. La tecnica di controllo Earned Value Management, invece, si fonda su un approccio integrato nel senso che tiene insieme il controllo sull’avanzamento di attività e di output da produrre, sul rispetto delle scadenze principali indicate nel cronoprogramma e sulla capacità di tenere sotto controllo i costi in corso d’opera, in modo che al termine non vi siano sforamenti del budget e che, qualora vi siano delle economie di risorse, queste siano dovute, com’è desiderabile, a un’elevata efficienza complessiva. L’EVM si basa su tre variabili di base (Planned Value, Actual Cost ed Earned Value) e su due variabili “di scostamento”. Una è definita Schedule Variance, in quanto consente di tenere sotto controllo la capacità del progetto di rispettare il piano di lavoro iniziale ed una è definita Cost Variance in quanto consente di tenere sotto controllo la coerenza delle spese effettive maturate in itinere con quanto pianificato inizialmente.

Il “ciclo della performance”, il monitoraggio dei “risultati interni” e la tecnica dell’Earned Value Management

Il breve articolo, muovendo dal precedente su alcune criticità della misurazione della performance delle organizzazioni pubbliche italiane, oltre a sollecitare di nuovo una maggiore attenzione alla necessità di differenziare adeguatamente valutazione delle routine organizzative e valutazione dei progetti, propone un approccio al controllo dell’avanzamento dei progetti – Earned Value Management (EVM) – che consente di tenere simultaneamente conto di attuazione fisica degli interventi, capacità di rispettare il cronoprogramma di attività iniziale e le relative scadenze e di gestire al meglio gli input, in primis le risorse finanziarie. Il valore aggiunto dell’Earned Value Management è quello di consentire di combinare le molteplici dimensioni di misurazione e di valutazione ongoing dei progetti. Infatti, l’Earned Value Management (o Earned Value Analysis) consente di avere, in itinere, un cruscotto di monitoraggio sull’avanzamento fisico del progetto e sull’efficienza attuativa (realizzazione fisiche e quantità di risorse impiegate), sul rispetto della tempistica prevista nella fase di definizione del progetto e sul suo avanzamento finanziario.

Ciclo del progetto: la fase fantasma dell’approvazione

Il post argomenta che fra la fase di ideazione (avvio) del “ciclo del progetto” e la fase di pianificazione, andrebbe sempre considerata una fase “fantasma” in molti “cicli del progetto” proposti in Guide e Manuali, che è quella dell’approvazione dei progetti. Non va mai dimenticato che solo nel caso in cui la “proposta di progetto” venga approvata sarà possibile proseguire con una fase successiva di approfondimento che conduce all’elaborazione del “progetto esecutivo”. Nel post provo a rappresentare concretamente questo aspetto con riferimento a un progetto di sviluppo aziendale soggetto all’approvazione o meno del top management, a un progetto tecnico (offerta tecnica) elaborato per aggiudicarsi un appalto pubblico (call for tender) e, infine, ad una proposta di progetto finalizzata ad accedere a delle sovvenzioni messe a concorrenza tramite un avviso di finanziamento (call for proposal).

Ciclo del progetto: la fase iniziale di ideazione

Il post illustra la fase di ideazione (avvio) del “ciclo del progetto”, che si può articolare in tre sub-fasi (identificazione, analisi e formulazione).
La fase di ideazione si chiude con l’elaborazione di una “proposta di progetto” o “progetto preliminare”.
Molti autori asseriscono che si chiuda con il “project charter” (una sorta di atto che formalizza la conclusione della fase di avvio). Così non è. Va sempre considerata una fase (fase “fantasma” in molti “cicli del progetto” proposti in Guide e Manuali), che è quella dell’approvazione dei progetti. Non va mai dimenticato che solo nel caso in cui la “proposta di progetto” venga approvata, sarà possibile definire il “project charter” e proseguire con una fase successiva di approfondimento che conduce all’elaborazione del “progetto esecutivo”.

Le dimensioni-chiave dei progetti di sviluppo socio-economico

Il post individua quattro dimensioni-chiave per definire i tratti distintivi dei progetti di sviluppo socio-economico: (i) la dimensione strategica (imperniata su gruppo target, problemi da risolvere e ‘visione di sviluppo’); (ii) la dimensione operativa; (iii) la dimensione ‘risorse’ e (iv) la dimensione ‘ambito settoriale’ di intervento (‘ambito di policy nel caso di progetti promossi e finanziati da Istituzioni pubbliche).

I progetti di sviluppo socio-economico come leve di cambiamento e generatori di un ‘futuro desiderato’

La definizione dei progetti di sviluppo socio-economico dovrebbe muovere dalla considerazione che essi sono volti a produrre dei cambiamenti sociali, ispirati da una sfidante ‘visione di sviluppo’. Per tali progetti si possono individuare quattro dimensioni-chiave imprescindibili, che ne costituiscono il nucleo centrale. In sede di formulazione di tali progetti, inoltre, si deve tener conto con attenzione della loro dimensione tecnico-ingegneristica e della loro dimensione geografica. Infine, il post rimarca l’importanza di due aspetti su cui, fortunatamente, vi è un crescente consenso presso la comunità degli esperti di sviluppo locale: (i) i progetti di sviluppo socio-economico vanno pensati come progetti-processi e non come ‘to-do-list’; (ii) tali progetti vanno formulati in una logica di empowerment dei destinatari finali e delle comunità locali, coinvolgendoli adeguatamente in processi partecipativi di decision-making.

Alcune critiche alla definizione di progetto del Project Management Body Of Knowledge

Il post mette in luce alcuni limiti della definizione di progetto del PMBOK, che rendono tale definizione ben poco calzante rispetto ai progetti di sviluppo socio-economico. Tra questi limiti spicca il fatto che l’intera impostazione del PMBOK in merito a formulazione e gestione dei progetti è nitidamente sbilanciata verso la c.d. progettazione ‘per attività’, quando, invece, almeno dalla fine degli anni Novanta si è andato affermando sempre di più un approccio alla formulazione dei progetti ‘per obiettivi’, sia presso le organizzazioni, sia presso la comunità degli esperti di sviluppo locale.

Appunti su alcuni elementi basilari del Project Management

Il post discute le ‘aree di processo’ del Project Management come indicate nella Guida PMBOK del PMI e propone una revisione della fase di avvio (o fase di definizione). La fase di avvio dovrebbe essere riarticolata in tre sub-fasi, in modo da enfatizzare l’approccio ‘problem solving’: (i) ‘fase di identificazione’ (in cui, in particolare, si definiscono problemi e gruppo/i target del progetto); (ii) ‘fase di analisi’ (in cui si approfondisce lo studio degli elementi portanti del progetto individuati nella fase precedente e delle possibili soluzioni ai problemi); (iii) ‘fase di formulazione’ (in cui, appunto, si formula la ‘proposta di progetto’). La fase di avvio, a mio avviso, non si chiude con il ‘project charter’ come suggeriscono, in genere, gli esperti più accreditati. Questo, in realtà, sarà ratificato solo se la ‘proposta di progetto’ verrà approvata. Solo in quel caso il ‘project charter’ costituirà l’input fondamentale della fase di pianificazione e, in questa fase, si potrà definire il ‘piano di progetto’ definitivo.