Aree di governo, politiche pubbliche locali e nuove funzioni dei GAL

Aree di governo ottimali degli enti locali e politiche pubbliche locali [1]

Nel post del 30 settembre scorso “Aree vaste, riforma delle autonomie locali e nuove funzioni dei GAL” ho rimarcato che la perimetrazione geografica degli enti locali intermedi è una questione essenziale per garantire un efficace disegno delle politiche locali e del modello di fornitura dei servizi pubblici locali.

bookshelf-1082309_640Come ha scritto con molta chiarezza in un contributo recente sulle Città Metropolitane il giurista Patroni Griffi (2016, p. 18), «il nesso biunivoco tra perimetrazione e funzioni riconosciute all’ente è di tutta evidenza, se si pensa come proprio dall’idonea dimensione territoriale dell’ente dipende l’efficace allocazione di attività, ad esempio di pianificazione territoriale generale, di strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, di mobilità e viabilità, di promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale».
Il dibattito su federalismo fiscale e grado ottimale di decentramento delle competenze legislative e amministrative ad enti sub-statali (due facce di una stessa medaglia), non a caso, ha sempre ruotato, fondamentalmente, intorno a pochi elementi cardine, fra cui appunto questo: come garantire una perimetrazione geografica degli enti sub-statali (“area di governo”) corrispondente alle “scale territoriali” su cui si espandono le esternalità (“effetti spillovers”) delle funzioni pubbliche attribuite a tali enti.

Abolizione delle Province e rescaling istituzionale infra-regionale. Come valorizzare i GAL?

Come ricordavo sempre nel post del 30 settembre scorso, l’annunciata – ormai da diversi anni – abolizione delle Province (intenzione confermata nella “legge Delrio”) apre uno “spazio intermedio” fra Ente Regione e Comuni che, necessariamente, va colmato con interventi di rescaling istituzionale infra-regionale. [2]
Le fondamenta di tali interventi di rescaling vanno tracciate sulla scorta delle considerazioni su “aree di governo” ottimali degli enti locali e funzioni di policy a questi attribuiti e di altri elementi cardine della valutazione del grado ottimale di decentramento ampiamente trattati dalla letteratura sul federalismo fiscale (a partire dal lavoro seminale di Wallace Oates del 1972) e da quella sul decentramento istituzionale delle competenze politiche e amministrative. Tali elementi sono:
• grado di eterogeneità delle preferenze fra le comunità locali delle diverse “aree di governo”;
• possibilità, decentrando, di affidare la soluzione di problemi collettivi a decisori pubblici che, rispetto a quelli dei governi centrali, conoscono meglio realtà e problematiche locali;
• esigenza di allocare le competenze di policy fra i vari livelli di governo in modo strettamente biunivoco (ossia evitando quelle sovrapposizione che, inevitabilmente, comportano più elevati costi di coordinamento inter-istituzionale);
• volontà di rafforzare la capacità di incidere sui processi decisionali delle comunità locali. Queste, oltre a “tenere a casa le politiche” (un’aspirazione generalizzata a tutte le comunità locali), possono monitorare meglio l’operato dei loro rappresentanti politici e, se insoddisfatti, possono sostituirli attraverso il loro voto nelle successive tornate elettorali. [3]

A fianco degli elementi ricordati sopra, nel dibattito recente, si vanno sempre di più affermando, anche per l’attenzione posta su di essi dagli stessi cittadini comuni, i seguenti fattori, anch’essi influenti, indirettamente, sul dimensionamento ottimale e su efficacia ed efficienza delle autonomie locali:
• una crescente attenzione (almeno da parte dei cittadini) per un’espansione ragionevole delle città (che non vada a detrimento delle aree rurali e delle funzioni “di pubblica utilità” del comparto agricolo) e per i rapporti fra città e aree rurali;
• la volontà/capacità degli enti istituzionali di coinvolgere direttamente nei processi decisionali i cittadini comuni. Questo sia in quanto il movimento dell’open innovation (affermatosi in ambito scientifico-tecnologico nel settore privato) ha fatto intendere quanto, anche nella sfera pubblica, sia importante, per poter formulare politiche pubbliche efficaci, un adeguato coinvolgimento degli stessi cittadini-utenti, sia in quanto è solo parzialmente vero che il decentramento delle funzioni di governo a livello locale può garantire una maggiore capacità dei cittadini di monitorare l’operato dei loro rappresentanti politici e di “punirli”, se del caso, nelle tornate elettorali.

I GAL, nonostante la natura particolare e i limiti funzionali stabiliti per questi organismi dalla normativa europea sull’approccio LEADER, si pongono fisiologicamente al crocevia di questi elementi di analisi, per certi versi anche più di quanto vi si pongano Unioni dei Comuni ed enti intermedi con una missione specifica (“specific purpose”) quali sono quelli normati dagli artt. 31-32 del Testo Unico sugli Enti Locali (si veda la figura che segue).

Figura 1 – I GAL nell’intreccio dei fattori più rilevanti per i processi di rescaling istituzionale

gal_rescaling_post-5-10-2016

Infatti, i GAL:
• coprono aree vaste “funzionali” e non amministrative, nonostante i limiti imposti dalla normativa su GAL e loro Piani di Sviluppo Locale (PSL) [4]. Quantunque tali aree, sovente, non si configurino come aree vaste “omogenee”, certamente si prestano meglio delle aree vaste prettamente “normative” ad una più razionale gestione delle politiche di sviluppo e dei servizi pubblici locali;
• sono certamente una sorta di unicum organizzativo con un sistema di governance molto particolare, ben diverso di quello delle Unioni dei Comuni, ma hanno in nuce la missione caratteristica di favorire uno spostamento del potere decisionale verso il basso e, soprattutto, di facilitare il coinvolgimento attivo di più portatori di interesse nella gestione delle politiche di sviluppo locale (civic engagement) [5]. Seguendo la distinzione di Liesbet Hooghe e Gary Marks (2001a, 2001b) fra sistemi di Multi Level Governance del I tipo (rigidi e con giurisdizioni “general purpose” definite dall’alto) e sistemi di Multi Level Governance del II tipo (caratterizzati da giurisdizioni “specific purpose” definite secondo percorsi di auto-organizzazione da parte di cittadini-utenti e non necessariamente permanenti), i GAL si configurano come una forma di Multi Level Governance del II tipo (Bagarani, Bonetti 2005), ossia una forma particolarmente indicata non solo per favorire l’empowering dei cittadini-utenti, ma anche per gestire quei problemi socio-economici che travalicano i perimetri degli enti locali;
• sono gli enti che, per la loro genesi e per le azioni di policy coperte, sono potenzialmente in grado di bilanciare meglio le relazioni fra città – segnatamente le città di medie dimensioni – e le aree rurali; [6]
• proprio per le loro peculiarità di essere potenziali enti non elettivi di governo del territorio che travalicano i vecchi confini amministrativi delle ex Province e, al tempo stesso, per l’esigenza di dotarsi di sistemi di governance interni aperti alla partecipazione di operatori economici privati, rappresentanti della società civile e cittadini, i GAL si prestano meglio di altre forme di governo dei territori alla gestione condivisa e sostenibile dei “beni comuni”, specialmente quelli che, appunto, travalicano i confini amministrativi. [7]

Queste considerazioni, ovviamente, si prestano a delle valutazioni dubitative, più che altro legate a una gestione dei GAL, nelle precedenti programmazioni, non sempre caratterizzate da performance procedurali di rilievo e da livelli di efficacia soddisfacenti, ma:
• muovono da problemi sostanziali (non si può pensare di abolire tout court le Province senza delineare un sistema di governance delle politiche pubbliche locali nelle aree regionali e/o nelle regioni non coperte dalle Città Metropolitane);
• sembrano più soggette, in sede di eventuale applicazione, a resistenze dettate dai timori di élite politico-burocratiche locali dominanti, che generalmente si pongono sempre come veto-players rispetto alle riforme “inclusive”, che non da oggettivi limiti analitici. [8]

Stante il fatto che si tratta formalmente di Partenariati Pubblico Privati (segnatamente di associazioni private con una base associativa mista) e non di enti istituzionali, qualora ve ne sia la volontà politica, i GAL potrebbero davvero dimostrare di avere degli elementi di superiorità nella gestione di determinate politiche pubbliche (anche aggiuntive rispetto a quanto previsto dalla normativa europea) rispetto agli enti intermedi di secondo livello attualmente attivi.

I GAL potrebbero essere ripensati in corso d’opera, compatibilmente con la normativa europea, come enti funzionali di secondo livello “specific pupose”, come sono ad esempio le Comunità Montane, la cui missione “potenziata” potrebbe essere definita e disciplinata giuridicamente da strumenti normativi analoghi agli Accordi di Programma Quadro e/o da protocolli di intesa fra Regione, GAL e Comuni ed operatori privati che hanno aderito alla base associativa dei GAL.

Questa proposta è ambiziosa e sfidante, non infondata.
E’ certamente non facile da realizzare e potrebbe incontrare, oltre che resistenze da parte delle élite locali più conservatrici, anche degli incidenti di percorso.
Ma, a proposito di questi ultimi, vorrei ricordare quanto ci ha insegnato Albert Hirschman con la sua parabola de “la mano che nasconde” (Hirschman 1967, 1975). Tutti i progetti, anche quelli di riforma istituzionale, possono registrare delle criticità impreviste in fase di implementazione, ma la “mano che ha nascosto quelle difficoltà” in sede di formulazione, può rilevarsi benefica. Quelle criticità, infatti, possono ingenerare dei processi di apprendimento, per cui a fronte delle perdite comportate dalle criticità impreviste, il progetto viene migliorato in corso d’opera e, proprio grazie ad esse, produce dei risultati complessivi migliori di quelli preventivati.

******

[1] Ringrazio il professor Massimo Bagarani dell’Università Guglielmo Marconi per i preziosi suggerimenti.
Le responsabilità per eventuali errori e imprecisioni sono solo mie.

[2] Sulla necessità, una volta abolite le Province, di ridefinire il sistema di governo delle aree vaste (territori di ampiezza intermedia fra quella delle Regioni e quella dei Comuni) si veda il seguente, ben più autorevole contributo: Pica F. (2014); Servizi pubblici locali, Città Metropolitane e abolizione delle Province, Rivista Giuridica del Mezzogiorno (SVIMEZ), N. 4/2014, pp. 699-799.
Va anche aggiunto che le spinte verso la ricentralizzazione dei poteri pubblici in capo al Governo centrale – evidenti nella “legge Delrio”, ma anche nell’impostazione generale della programmazione dei Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) – sono anche da ricondurre a fattori su cui non vi è modo di soffermarsi in questo post: (i) le gestione centrale delle politiche consente di gestire meglio gli “effetti spillovers” e, in genere, è demandata a risorse umane con migliori competenze; (ii) Regioni, Enti Locali e agenzie tecniche decentrate hanno gestito le politiche che sono state “deverticalizzate” e i fondi dell’UE non proprio in maniera soddisfacente; (iii) vale una regolarità statistica battezzata “legge di Wildavsky” dal nome dello scopritore: le aree territoriali più povere non solo dispongono di minori risorse, ma le gestiscono anche in maniera meno efficiente (in primo luogo per il semplice fatto che la stessa gestione delle risorse ha un costo che le aree più povere faticano a sostenere).

[3] Si vedano Bardhan 2002, Bagarani, Bonetti 2006, Cerniglia 2003, Hooghe e Marks 2001a, 2001b, 2009, Marks e Hooghe 2004.

Politiche regionali e Fondi Strutturali

Politiche regionali e Fondi Strutturali

[4] L’approccio LEADER a livello europeo è disciplinato dal Reg. (UE) N. 1303/2013 – il regolamento generale sui Fondi SIE – e dal Reg. (UE) N. 1305/2013 sullo sviluppo rurale. Per la presentazione di obiettivi e limiti territoriali dei Piani attuativi dell’approccio LEADER si vedano, in particolare, gli articoli 32 e 33 del Reg. (UE) N. 1303/2013.
Ai sensi del PSR Lazio e dell’art. 2, comma 4 dell’avviso di selezione dei PSL della Regione Lazio, le aree di intervento dovranno risultare “funzionalmente omogenee” secondo i seguenti parametri:
• interessare una popolazione non inferiore a 10.000 abitanti, né superiore a 150.000 abitanti,
• comprendere i territori di più Comuni,
• coinvolgere integralmente il territorio dei Comuni interessati,
• presentare continuità territoriale fra i Comuni.

[5] Fra le caratteristiche distintive di approccio LEADER/GAL sono sempre generalmente annoverate anche le due seguenti: (i) decentramento istituzionale della formulazione e della gestione degli interventi, (ii) approccio bottom-up e partecipativo.

[6] Il tema “rural-urban gap” è un tema su cui vi è grande attenzione da parte del Parlamento Europeo. In merito, si veda il recente contributo del Servizio di ricerca del Parlamento Europeo (EPRS) “Bridging the Urban-Rural divide. Rural-Urban partnerships in the EU” (gennaio 2016), che richiama anche le indicazioni di un importante studio recente dell’OCSE: OECD (2013), Rural-Urban Partnerships. An integrated approach to economic development, OECD Publisching, Paris.

[7] Come ha magistralmente spiegato in diversi contributi il Premio Nobel 2009 per l’Economia Elinor Ostrom (1990, 1998), le forme di governo “flessibili” che sono aperte alla partecipazione delle comunità locali (o finanche organizzate secondo principi di auto-organizzazione dal basso) sono quelle più adatte per gestire i “beni comuni”, specialmente quei “beni comuni” – quali fiumi, laghi, aree protette, boschi – che coprono parte del territorio di più enti locali o regionali.

[8] Sulle élite politico-burocratiche “estrattive” come fattore di contrasto delle riforme “inclusive” si veda, in generale, il saggio monumentale di Acemoglu e Robinson (2013). Con riferimento alle politiche di sviluppo locale e alle riforme in Italia si vedano Barca (2011) e Calvaresi (2016), i cui contributi sono molto importanti in quanto ricordano che anche la tanto invocata apertura dei processi decisionali agli stakeholders locali può essere controproducente se non si tiene conto del fatto che fra questi vanno annoverati anche:
• élite locali dominanti che, rischiando di essere le “parti lese” dei processi di riforma, lavoreranno in senso contrario alle riforme, e
• gruppi di pressione e rent seekers, i quali partecipano ai processi decisionali non per contribuire a migliorare le politiche pubbliche, ma per cercare di incanalare a loro favore i benefici di processi di riforma e politiche locali di sviluppo.

Riferimenti bibliografici

Acemoglu D., Robinson J. (2012), Why nations fail; Traduzione italiana: Perché le nazioni falliscono?, IlSggiatore, 2013
Bagarani M., Bonetti A. (2005), Politiche regionali e Fondi Strutturali. Programmare nel sistema di governo della UE, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
Bagarani M., Bonetti A. (2006), Evoluzione del sistema di governo delle politiche comunitarie e cambiamenti nella politica regionale nazionale, paper presentato al IX Congresso AISPE, Padova.
Barca F. (2011), Alternative approaches to development policies: intersections and divergencies, OECD Regional Outlook 2001
Bardhan P. (2002), Decentralization of governance and development, Journal of Economic Perspectives, Vol 16, 185-2005
Calvaresi C. (2016), Innovazioni dal basso e imprese di comunità: i segnali di future delle aree interne, AgriRegioniEuropa, anno 12, 45
Cerniglia F. (2003), Decentralization in the Public Sector: quantitative aspects in federal and unitary countries, Journal of Policy Modelling, 25, 749-776
Hirschman A.O. (1967), The principle of the hiding hand, National Affairs, Issue 6
Hirschman A.O. (1975), I progetti di sviluppo, Franco Angeli, Milano
Hooghe L., Marks G. (2001a), Multi-Level Governance and European Integration, Buolder: Rowman & Littlefield
Hooghe L., Marks G. (2001b), Types of Multi-Level Governance, European Integration online Papers, Vol: 5(2001)
Hooghe L., Marks G. (2009), Does efficiency shape the territorial structure of government?, Annual Review of Political Science, 12, 225-241.
Marks G., Hooghe L. (2004), Contrasting Vision of Multi-Level Governance, in Bache I., Flinders M. eds, Multi-Level Governance, Oxford University Press
Oates W. (1972), Fiscal federalism, Harcourt/Jovanovich, New York
Ostrom E. (1990), Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press. Traduzione italiana: Governare i beni collettivi, Marsilio, 2006.
Ostrom E. (1998), A Behavioral Approach to the Rational Choice Theory of Collective Action: Presidential Address, American Political Science Association (1997), The American Political Science Review 92(1): 1-22. 1998.
Patroni Griffi A. (2016), Le Città Metropolitane nel guado costituzionale, Federalismi.it, n. 14/2016.
Pica F. (2014); Servizi pubblici locali, Città Metropolitane e abolizione delle Province, Rivista Giuridica del Mezzogiorno (SVIMEZ), N. 4/2014.

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