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Limiti cronici della PA italiana nella gestione dei Fondi Strutturali e processi di audit, monitoraggio e valutazione

‹‹[Bisogna] ritornare alla natura originaria delle istituzioni/
organizzazioni che sono sistemi di persone che operano con
persone per persone. Una considerazione che riporta le persone al
centro delle analisi organizzative ed economiche››
Elio Borgonovi (Professore ordinario presso l’Università Bocconi) [1]

1. La gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali e degli interventi finanziati dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) in diverse Regioni continua ad essere caratterizzata da limiti che sembrano quasi insormontabili.
2. La descrizione di tali limiti è discutibile sia quando è proposta in articoli accademici, sia quando è trattata dalla stampa. In genere, infatti, sia gli articoli accademici sia quelli giornalistici non presentano le varie fasi della programmazione e dell’attuazione degli interventi e, quindi, risultano un po’ superficiali.
Qui propongo, invece, una nota di viaggio da practitioner che, per il tipo di lavoro svolto, deve necessariamente calarsi nella concreta attuazione di certi procedimenti.
E’ una lettura severa di certi limiti endemici nella gestione delle organizzazioni pubbliche e dell’attuazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali. Al tempo stesso, vorrei ricordare che certi limiti gestionali si riscontrano anche per molte organizzazioni private. Questo post, quindi, si focalizza sui limiti gestionali delle organizzazioni pubbliche solo per il fatto che è quelle che conosco meglio.
3. Un aspetto assolutamente trascurato da alcune analisi giornalistiche, o anche da vari articoli accademici, è che il c.d. procedimento amministrativo è parte di un percorso di attuazione delle politiche pubbliche più ampio che, in gergo, viene definito ciclo di policy making.
Il ciclo di policy making, di cui ho parlato spesso nelle ultime settimane, di fatto, si fonda sull’idea semplicissima che la formulazione e l’attuazione di politiche pubbliche si può rappresentare come, appunto, un ciclo, per cui al termine di determinate azioni di politica economica si effettua una valutazione seria e metodologicamente fondata dei loro effetti. Sulla scorta di tale valutazione (e, ovviamente, tenendo conto dei cambiamenti nel contesto socio-economico e delle domande di supporto degli stakeholder), si avvia un nuovo ciclo di politiche pubbliche.
Questa logica semplicissima è il cuore della programmazione pluriennale dell’UE e, quindi, anche della programmazione dei Fondi Strutturali. [2]
4. Per spiegare meglio l’approccio qui seguito, si consideri che, ponendo a fondamento dell’analisi dei procedimenti amministrativi (da intendersi come processi di creazione di valore pubblico) alcuni capisaldi della pianificazione strategica e del project management per le organizzazioni private, si deve tenere conto del fatto che:
• anche per le organizzazioni pubbliche il processo di creazione di valore si realizza tramite funzioni operative (routine) e progetti (che si distinguono dalle routine in primo luogo per essere caratterizzati da una durata temporale finita), come ampiamente rimarcato dalla principale Guida al mondo sul project management; [3]
• funzioni e progetti si possono classificare in primari e secondari sulla base della rilevanza che rivestono nei processi di creazione di valore, come magistralmente illustrato da Michael Porter con la sua teoria della “catena del valore” in cui egli individuava 5 attività primarie e 4 di supporto. [4]
5. Sull’abbrivio di tali premesse analitiche, si possono individuare tre tipi di macro-processi e processi di attuazione dei PR cofinanziati dai Fondi Strutturali (si veda la figura 1):
• quelli primari (programmazione operativa, selezione delle operazioni, attuazione, controllo, rendicontazione e delle spese e rimborso dei beneficiari), cruciali per efficacia ed efficienza dell’intero Programma;
• quelli che garantiscono una adeguata sorveglianza dei processi attuativi e che forniscono gli elementi conoscitivi per migliorare in itinere ed ex post le scelte strategiche e le stesse procedure di implementazione;
• alcuni macro-processi e processi complementari, fra cui la comunicazione e la pubblicità degli interventi (che è, da sempre, oggetto di grande attenzione da parte della Commissione).

Figura 1 – Quadro di insieme di macro-procedure e procedure per l’attuazione dei Programmi

6. I processi primari sono quelli più rilevanti per la corretta ed efficace esecuzione degli interventi e sono parimenti quelli che possono maggiormente variare a seconda di:
• tipologie di azioni; [5]
• l’attribuzione della titolarità della responsabilità gestionale per le varie azioni (si tratta di identificare, in termini molto concreti, il soggetto che gestirà le risorse stanziate per le varie azioni che viene generalmente indicato come Ufficio Competente per le Operazioni – UCO). [4]
7. Macro-processi e processi primari dovrebbero essere visti come parti costitutive di un percorso circolare o, se si preferisce, parti di un processo circolare di creazione di valore pubblico in cui gli output di una fase sono, approssimando, gli input di quelli successivi.
Come detto sopra, dirigenti e funzionari medi faticano a vedere la circolarità intrinseca nella gestione e attuazione delle politiche pubbliche.
Questa logica è, di fatto, o ampiamente sconosciuta a decisori politici e dirigenti apicali di molte Amministrazioni regionali o non applicata.
Come sottolineato a più riprese nelle ultime settimane, la c.d. Autorità di Gestione (ADG) dei Programmi Regionali (PR) sono “responsabili del procedimento” per i Programmi, ma concretamente l’attuazione degli interventi chiama in causa più Dipartimenti o Servizi delle Regioni, o anche Enti in house nel caso delle azioni “a titolarità” (il quadro attuativo è ancora più articolato per le azioni “a regia”).
Per Programmi complessi che finanziano più tipologie di intervento non può che essere così.
Vi è poi da considerare che alcune fasi del ciclo di policy making – quali audit e valutazione – devono necessariamente essere assegnati a organismi separati dell’Amministrazione regionale, per il principio di separazione delle funzioni.
8. Quanto appena esposto, sommandosi alla difficoltà di dirigenti e funzionari pubblici a comprendere pienamente il ciclo di policy making, implica che le sue varie fasi siano viste come isole separate una dall’altra, ciascuna presidiata da diversi Dipartimenti o Servizi regionali che si focalizzano sulle loro funzioni/mansioni (si rinchiudono nel loro orticello e, invece di collaborare, spesso buttano le sterpaglie in quello degli altri).
9. Inoltre, a fronte delle tante belle parole che si spendono nei convegni sulla necessità che le varie unità organizzative della PA collaborino fra di loro e tendano a scambiare informazioni e buone pratiche, chi vuole vedere come stanno davvero le cose, noterà che, nella realtà giornaliera, la logica stradominante è quella delle guerre di posizione (che, a livello dirigenziale, sono anche guerre di potere) e che le varie unità organizzative, o per imposizione dei dirigenti di riferimento o per modus operandi sedimentato nel tempo, lavorano quasi sempre in una logica di contrapposizione e non di collaborazione e di condivisione di buone pratiche.
10. Quanto sopra implica parimenti che anche laddove vi sia la volontà di collaborare e/o di migliorare il ciclo di policy making nel suo complesso, è faticoso stabilire un dialogo costruttivo fra più unità organizzative.
Prendendo come termine di riferimento il saggio di Raffaella Saporito, docente della Bocconi di Milano, già richiamato nel precedente post (Public Leadership) accade molto molto spesso che la propensione a collaborare sia vista come una interferenza.
E’ raro che un rilievo costruttivo sia visto per quello che è. In un primo momento è quasi sempre visto come “requisitoria” e, purtroppo, anche in seguito il personale della PA non riesce a smarcarsi, per vari motivi, da questa prima impressione.
Di riflesso, come spiega molto bene la Saporito, e come i practitioner come me possono constatare direttamente sul campo, il confronto va avanti per “requisitorie” contrapposte e non per feedback costruttivi.
E’ nell’ordine naturale nelle cose che, questo comporta non solo fenomeni di stress personale che non hanno nulla a che fare con i carichi di lavoro, ma anche il forte rischio che le organizzazioni pubbliche, così come accade in quelle private, possano perdere dirigenti e funzionari più motivati.
Oppure, si verifica che siano soprattutto quelle persone più motivate che, sempre attingendo alle brillanti metafore usate dalla Saporito nel suo saggio, ricorrano maggiormente alla corazza protettiva della “poker face” e desistano dall’interloquire con altre persone (specialmente se di altre unità organizzative della PA), nella consapevolezza frustante che i loro rilievi vengano sempre e comunque letti come “requisitorie”.
11. Se vi sono delle persone della PA che ricorrono alla “poker face” nei rapporti con l’intero staff (dirigenti e altri funzionari di pari grado) frustate dalla mancanza di volontà generale di migliorare e per evitare di essere ghettizzate quali persone “rompiscatole”, figurarsi quanto sia forte la propensione di dirigenti e funzionari ad usare la “poker face” nei rapporti con i decisori politici.
Se coloro che propongono rilievi critici per fare meglio e propongono delle soluzioni innovative rischiano di essere ghettizzate dall’intero staff e, quindi, nel tempo, si allineano alle routine medie, a maggior ragione andranno incontro a cocenti delusioni se certe criticità o certe soluzioni innovative le portano all’attenzione dei decisori politici. Questi, com’è noto, hanno obiettivi diversi da quelli dei burocrati – ai quali demandano la traduzione in atti concreti – “offerta effettiva di politiche pubbliche” – della loro lettura della “domanda di politiche pubbliche” di cittadini e di gruppi di pressione – e non amano sentir parlare di problemi o di sperimentazione di nuove possibili soluzioni ai problemi collettivi. [6]
12. Ritornando ai tre cluster di macro-processi e processi attuativi richiamati nella figura 1, il cluster che include i processi di audit, monitoraggio e valutazione, che costituiscono gli strumenti serventi rispetto a obiettivi di miglioramento dei processi decisionali, di selezione delle operazioni da ammettere a beneficio e anche di quelli attuativi (si veda la figura 2), è quasi subito da decisori politici e Dipartimenti/Servizi regionali.
Decisori politici, dirigenti in posizione apicale della PA e gli stessi Soggetti Attuatori, generalmente, guardano al monitoraggio come un appesantimento delle procedure e non riescono a vedere minimamente la sua vera natura di cruscotto operativo della programmazione (viene visto solo come strumento, poco gradito, di tracciamento delle operazioni e non, appunto, come cruscotto operativo che serve per fornire dati fondamentali per avere dei primi riscontri sull’andamento dei Programmi e delle singole azioni, riscontri da capire approfonditamente con attività di valutazione).

Figura 2 – Audit, monitoraggio e valutazione come cruscotto operativo dei Programmi

13. In estrema sintesi, tende a prevalere, sia nelle fasi inziali della programmazione strategica e di quella operativa (che coinvolgono più direttamente il decisore politico e alcuni dirigenti più rilevanti, al livello di Direttori di Dipartimenti), sia in quelle attuative (che coinvolgono direttamente posizioni organizzative e funzionari), una logica di “mutuo aggiustamento”, logica che è il cardine della c.d. “teoria incrementale” di Charles Lindblom sulle decisioni pubbliche. [7]
Questo significa che, come scrivevo nel post del 10 Novembre, nel caso dell’attuazione dei PR cofinanziati dai Fondi Strutturali, dobbiamo tenere in primo luogo conto del “mutuo aggiustamento” fra ADG e singoli Dipartimenti regionali, ma dobbiamo anche tenere in debita considerazione:
• logiche di “mutuo aggiustamento” fra desiderata dei decisori politici (desiderata spesso velleitarie e sganciate da valutazioni tecniche attendibili) e opzioni di scelta effettivamente praticabili per Direttori dei Dipartimenti impegnati nell’attuazione degli interventi e staff a loro disposizione;
• logiche di “mutuo aggiustamento” fra i diversi Dipartimenti;
• logiche di “mutuo aggiustamento” che si sviluppano fra il personale della PA, logiche che, spesso, condizionano negativamente soprattutto le persone più orientate ai risultati, con la triste conseguenza che, nel tempo, anche la performance di persone più dotate e/o motivate tende ad appiattirsi verso la media (media che, a volte, si configura finanche come mediocrità). [8]

*************

[1] Prefazione al saggio di Raffaella Saporito, Public Leadership, pubblicato dalla casa editrice EGEA.
Elio Borgonovi, com’è noto, è professore ordinario di Economia e Management delle Pubbliche Amministrazioni presso l’Università Bocconi ed è riconosciuto quale uno dei massimi esperti in Italia di analisi e valutazione delle organizzazioni e delle politiche pubbliche.
[2] Cfr. Bagarani M. (2005); Un confronto fra scelte di politica economica regionale alla luce della riforma dei Fondi Strutturali. L’esperienza italiana nel 200-2006; Scienze Regionali, vol. 4, n. 3. Bagarani M.; Bonetti A. (2005); Politiche regionali e Fondi Strutturali. Programmare nel sistema di governo della UE; Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ). MEF-Ragioneria Generale dello Stato (2007). Linee Guida sui sistemi di gestione e controllo e per la programmazione 2007-2013, Roma.
[3] La Guida più conosciuta al mondo sul project managementA Guide to the Project Management Body Of Knowledge (PMBOK) – progressivamente perfezionata dal Project Management Institute (PMI) a partire dagli anni Ottanta, muove dalla considerazione triviale che tutte le organizzazioni – siano esse pubbliche, private orientate al profitto o private senza scopo di lucro – devono eseguire del lavoro (attività produttive) per creare valore.
Seguendo il PMBOK, lo possono fare dando corso a:
• Funzioni operative routinarie (con riferimento alle imprese si parla di “funzioni aziendali”).
• Progetti.
Come si legge a pagina 4 dell’edizione del 2000 del PMBOK, ‹‹organisations perform work. Work generally involves either operations or projects, although the two overlap. […]. Projects are often implemented as a means of achieving an organisation’s strategic plan. Operations and projects differ primarily in that operations are ingoing and repetitive, while projects are temporary and unique […]. Temporary means that every project has a definite beginning and a definite end. Unique means that the product or service is different in some distinguishing way from all other products or services.››
[4] Si veda, in particolare: Porter M. (1985). Competitive Advantage: Creating and Supporting Superior Performance, Free Press, New York.
[5] In genere vengono riportati tre cluster di azioni FESR:
• realizzazione di opere pubbliche;
• acquisto di beni e servizi (inclusi servizi professionali) da parte della PA;
• incentivi e concessioni di altri vantaggi economici e/o servizi.
L’aspetto che rileva nell’impostazione di questo post è che poi, concretamente, il ciclo di policy making ha delle “sovrastrutture” che cambiano a seconda della natura degli interventi. Nel caso di lavori pubblici e acquisti di beni e servizi il ciclo di policy making di fatto si configura come “ciclo degli appalti” e la base normativa di riferimento è costituita dal Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023), ma nel caso dell’erogazione di incentivi non si può applicare tout court il “ciclo degli appalti” e, non ultimo, a fondamento del procedimento amministrativo, a 25 anni di distanza dalla sua emanazione, vi è ancora il D.Lgs. 123/1998.
Invece, quale che sia la natura degli interventi, è evidente che il dirigente (funzionario) medio, o anche il decisore pubblico medio, tendono a “curvare” verso il Codice degli Appalti.
[6] Sui concetti di “domanda di politiche pubbliche”, “offerta potenziale di politiche pubbliche” e “offerta effettiva di politiche pubbliche” si veda: Bagarani M.; Mellano M. (1990); La spesa pubblica per l’agricoltura delle regioni a statuto ordinario in base agli obiettivi di politica agraria; in AA.VV.; L’intervento pubblico in agricoltura, EDIESSE, Roma.
Sui meccanismi di interpretazione da parte dei decisori politici delle preferenze collettive e di delega ai burocrati di loro fiducia dei compiti che attengono alla “traduzione” delle preferenze degli elettori colte dai decisori in scelte di spesa pubblica concrete la letteratura è sconfinata. Fra i contributi classici più significativi si richiamano:
Downs A. (1957); An Economic Theory of Democracy, Harper & Row, New York.
Buchanan J.M.; Tullock G. (1962); The Calculus of Consent. Logical Foundations of Constitutional Democracy; Michigan U.P., Chicago;
Olson M. (1965); The Logic of Collective Action; Harvard U.P.; Cambridge, MA.
Hirschmann A.O. (1970); Exit, Voice and Loyalty; Harvard U.P.; Cambridge, MA.
Breton A. (1974); The Economic Theory of Representative Government; Aldine Publishing, Chicago.
Nordhaus W. (1975); The Political Business Cycle; Review of Economic Studies, vol. 42.
Drazen A. (2000); Political Economy in Macroeconomics; Princeton U.P.; Princeton N.J.
[7] Cfr.: Lindblom C.; (1959); The Science of “Muddling Through”; Public Administration Review, Vol. 19; No.2; pp. 79-88.
[8] Questo contributo è un “work in progress” elaborato nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Funds for Reforms Lab “Le politiche e i fondi dell’UE nella programmazione 2021-2027”.

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