PON Città Metropolitane, nuovi servizi di welfare e nuovi modelli di business

Il PON Città Metropolitane (PON Metro), come già accennato nel post “PON Città Metropolitane e innovazione sociale” dello scorso 10 ottobre, grazie alla combinazione delle Azioni di Asse 3 “Servizi per l’inclusione sociale” (FSE) e Asse 4 “Infrastrutture per l’inclusione sociale” (FESR) può consentire di implementare paradigmi e progetti innovativi di rigenerazione urbana e sociale.
Già in quel post evidenziavo che la capacità di valorizzare adeguatamente i modelli di business di “organizzazioni ibride” innovative e di nuove start-up “a vocazione sociale” è una delle condizioni di successo dei progetti di innovazione sociale che verranno finanziati.

Va esplicitamente in questa direzione l’Azione 3.3.1 “Sostegno all’attivazione di nuovi servizi in aree degradate” (FSE), che «promuove lo start-up di nuovi servizi di prossimità e animazione territoriale rivolti ai cittadini di quartieri e aree urbane ad elevata criticità socio-economica». Per raggiungere questo obiettivo «l’Azione sostiene la definizione e implementazione di percorsi e attività di accompagnamento, coaching e formazione, realizzazione di ipotesi progettuali finalizzati a trasformare reti e progetti embrionali di innovazioni sociale in vere e proprie organizzazioni strutturate e in grado di sostenersi nel tempo». (v. PON Metro, p. 100). [1]

Nell’attesa che vengano pubblicati gli avvisi di finanziamento dell’azione, mi pare opportuno rimarcare tre aspetti:
• è ben noto che la produzione di tali servizi è soggetta a “fallimenti di mercato”. In questi ambiti di attività, in genere, intervengono le organizzazioni senza scopo di lucro e le “organizzazioni ibride”. E’ parimenti noto che tali organizzazioni hanno percorsi di avvio e di consolidamento ben diversi da quelli delle imprese commerciali. Si impone, pertanto, una riflessione su come servizi di accompagnamento, coaching e formazione vadano adeguatamente adattati rispetto a quelli già ampiamente sperimentati per le start-up “profit oriented”;
• i progetti d’impresa di potenziali neo-imprenditori, in genere, vengono accuratamente valutati sulla base di due aspetti principali: (i) la validità strategica e di mercato; (ii) la validità finanziaria (sezione delle proiezioni economico-finanziarie dei business plan). Le organizzazioni senza scopo di lucro e le “organizzazioni ibride” sono sorrette, necessariamente, da business models più complessi. Come si può correttamente tenere conto di questo aspetto negli avvisi di finanziamento dell’Azione 3.3.1? [2] Come individuare, inoltre, dei criteri di selezione che restituiscano realmente la portata innovativa dei progetti di impresa sociale che verranno proposti?
• Quali sono gli indicatori di risultato/impatto del successo (impatto sociale) di progetti di impresa così complessi? Questo aspetto chiama in causa anche la Legge Delega per la Riforma del Terzo Settore licenziata dalla Camera in via definitiva il 25 maggio di quest’anno. La Legge Delega – che si potrà valutare in modo adeguato solo una volta che saranno stati emanati i provvedimenti delegati – a me pare che, per il momento, appaia certamente carente rispetto alla questione della valutazione dell’impatto sociale di organizzazioni non profit, organizzazioni ibride e imprese a vocazione sociale. La valutazione dell’impatto sociale, stando al testo di legge, è affiancata al bilancio sociale, senza chiarire il ruolo specifico dei due strumenti. Inoltre, la sua definizione è alquanto generica. Il comma 3 dell’art. 7, infatti, si limita ad evidenziare che “il Ministero del lavoro e delle politiche sociali… predispone linee guida in materia di bilancio sociale e di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo Settore” [3]
La legge delega, pertanto, trascura quasi completamente la felice intuizione del legislatore contenuta nella Circolare N. 3677/C del MISE (20 gennaio 2015) e nella Guida del MISE per start up innovative a vocazione sociale alla redazione del “Documento di Descrizione dell’Impatto Sociale” (data 21 gennaio 2015 e curata dalla Segreteria Tecnica del Ministero), che introducono una ulteriore “condizionalità” per le Start Up Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS) per poter accedere agli incentivi fiscali maggiorati di cui all’art. 29 del Decreto Crescita 2.0. Le SIAVS devono dimostrare il loro “impatto sociale” sulla base di metodiche e indicatori esplicitati nella suddetta Guida. [4]
A mio modesto parere, negli avvisi di finanziamento dell’Azione 3.3.1 andrebbe tenuto conto di queste considerazioni sulla necessità di introdurre delle clausole per condizionare l’erogazione di servizi di accompagnamento alle neo-imprese sociali e agevolazioni finanziarie e fiscali ad una accurata valutazione del loro impatto sociale. [5]

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[1] I beneficiari di questa Azione sono:
• Comuni per azioni di sistema e per acquisizione di servizi da operatori del privato sociale,
• soggetti del terzo settore e altri attivi nei servizi sociali,
• individui portatori di idee e progetti innovativi (potenziali no-imprenditori sociali).

[2] Si veda, in merito, il contributo di Steve Blankmission model canvas” al seguente link:
https://steveblank.com/2016/02/23/the-mission-model-canvas-an-adapted-business-model-canvas-for-mission-driven-organizations/
[3] La definizione di valutazione di impatto sociale contenuta nella legge è molto generica. Sempre il comma 3 dell’art. 7 indica che “per valutazione dell’impatto sociale si intende la valutazione quantitativa e qualitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato”.
A tale riguardo, vorrei richiamare alcune considerazioni in merito, molto acute, dell’esperto di misurazione dell’impatto sociale Christian Elevati nell’intervista che mi ha rilasciato recentemente – vedi il post del 15 ottobre – sulla necessità che «l’individuazione di indicatori e di metodi di misurazione per ciascun ambito [sociale] dovrebbe nascere da “cantieri di sperimentazione”, “progetti pilota” in grado di restituire la ricchezza del Terzo Settore in Italia, e non “a tavolino”».

[4] Sulla normativa italiana sulle Start Up Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS) si veda il mio post del 20 febbraio scorso. In merito alla Legge Delega per la Riforma del Terzo Settore sono stati pubblicati diversi articoli di commento favorevole (si vedano i vari articoli pubblicati sul magazine on line Vita). Per una valutazione piuttosto critica si veda, invece, l’articolo del parlamentare Giulio Marcon  “Terzo settore, un’occasione persa” pubblicata sul portale del progetto Sbilanciamoci il 3 giugno scorso.
workshop[5] Avrò il piacere di approfondire tali questioni nel corso del Seminario del CEIDAFinanziamenti dell’UE e strumenti di ‘impact investing’ per le smart cities” (Roma, 5 e 6 dicembre p.v.).

 

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