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Risoluzione del Parlamento Europeo sui Recovery Plan. Quali insegnamenti trarne per l’attuazione di Recovery Plan e Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali?

«Words, words, words. Shakespeare, insuperato maestro di parole, le disdegnava.
A Guayaquil come a Buenos Aires o a Praga,
hanno sempre meno peso delle persone»
Jorge Louis BORGES (tratto dal racconto “Guayaquil”)

Il Parlamento Europeo ha rilasciato oggi una importante Risoluzione sulla valutazione in corso dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza finanziati dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, il principale strumento di attuazione dell’Iniziativa Next Generation EU (NGEU). [1]

Alcune indicazioni sono assolutamente condivisibili. Su altre, invece, si può opinare.

Fra le prime si possono annoverare le seguenti:
• il richiamo alla Commissione sulla necessità che le valutazioni sull’ammissibilità a beneficio dei Piani e sui progetti siano assolutamente rigorose e non siano condizionate da compromessi di natura politica;
• l’attuazione dei Piani dovrà essere informata a principi di massima trasparenza nei confronti del Parlamento Europeo e di quelli nazionali (e, si aggiunge qui, anche nei confronti dei cittadini, anche ipotizzando la costituzione di reti di “monitoraggio civico”);
• i progetti devono essere selezionati ed attuati in modo da produrre impatti significativi e durevoli;
• va assolutamente scoraggiato l’eventuale ricorso a forme di “repackaging” di progetti senza valore aggiunto (in altri termini la pratica, ben nota a coloro che si occupano di Fondi Strutturali, dell’inserimento fra i progetti rimborsabili dall’UE di alcuni già approvati a valere di strumenti di incentivazione nazionale).

La Risoluzione del Parlamento Europeo, invece, è criticabile in primo luogo per la forzatura giuridica grazie alla quale tende a presentare i Recovery Plan come strumenti da attuare a sostegno della coesione economica, sociale e territoriale e che, di conseguenza, dovrebbero tenere maggiormente conto delle istanze politiche dei governi locali e dei fabbisogni dei vari territori.
Nella Risoluzione, infatti, si rimarca che il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza che li finanzia (in Inglese Recovery and Resilience Facility – RRF) si fonda sugli articoli 174 e 175 del Trattato sul Funzionamento dell’UE – TFUE (si veda il “whereas H” a pagina 2), che sono i due articoli alla base della “politica di coesione” dell’UE.

Non è propriamente così.
Quando si ragiona sulla base normativa dei Fondi europei e, soprattutto, sulla travagliata genesi di una Iniziativa di natura eccezionale qual è Next Generation EU – la cui approvazione ha richiesto un Consiglio Europeo che si è protratto dal 17 al 21 Luglio del 2020 con aspre polemiche fra i vari Stati – bisogna sempre tenere realisticamente conto della forma e della sostanza delle norme stesse.

Il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, in realtà si fonda sull’art. 122, comma 2 del TFUE, che dispone che “qualora uno Stato Membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato Membro interessato”.

Il Dispositivo nasce quindi come strumento di solidarietà (“coesione”) fra gli Stati per sostenere la ripresa economica e l’attuazione di riforme strutturali in quegli Stati che erano stati colpiti maggiormente dalla pandemia nella prima metà del 2020.
A livello comunicativo era molto più accattivante per le Istituzioni dell’UE e anche per i cittadini dei Paesi maggiormente beneficiari presentare il Dispositivo come uno strumento di solidarietà fra gli Stati e i cittadini dell’UE. Questo è il principale motivo per cui il Regolamento che disciplina il Dispositivo – Reg. (UE) 2021/241 – lo presenta come attuativo dell’art. 175 del TFUE che dispone – facendo eco all’art. 121 del TFUE – che “gli Stati Membri conducono la loro politica economica e la coordinano anche al fine di raggiungere gli obiettivi dell’art. 174” (articolo che disciplina l’azione dell’UE “intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale”)” e che “le azioni specifiche che si rilevassero necessarie al di fuori dei Fondi [Strutturali], fatte salve le misure decise nell’ambito delle altre politiche dell’Unione, possono essere adottate dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato Economico e Sociale e del Comitato delle Regioni” (si veda la Figura 1 che sintetizza la base normativa del Dispositivo).

I riferimenti della Risoluzione all’art. 175 del TFUE quale base normativa del Dispositivo sono un po’ una forzatura, in quanto esso si fonda in primo luogo sull’art. 122 e, al tempo stesso, aldilà delle ovvie ragioni di “realpolitik” hanno una loro ragione d’essere nel fatto che esso è certamente uno strumento di solidarietà fra gli Stati e che, quindi, contribuisce alla coesione politica dell’UE. Ne beneficiano in misura più elevata gli Stati che hanno subito più pesantemente le conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia o che sono caratterizzati da sistemi economici più deboli (in termini assoluti i paesi maggiormente beneficiari sono Spagna e Italia; se si considerano i sussidi in termine pro-capite – sulla base della popolazione rilevata nel 2020 – i maggiori beneficiari sono Grecia e Croazia).

Al tempo stesso è evidente che anche la “lettura” del Dispositivo proposta dalla Risoluzione è un po’ una forzatura, in quanto Next Generation EU è una Iniziativa volta a ripensare profondamente le politiche pubbliche dell’UE e degli Stati e il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza ha come missione precipua quella di rilanciare su basi strutturalmente più solide lo sviluppo economico di tutti gli Stati. Si possono fare tante considerazioni sull’importanza di tenere conto nei Recovery Plan delle crescenti disuguaglianze economiche e sociali e sulla necessità di sostenere anche i processi di convergenza dei territori più deboli dell’UE, ma va sempre ricordato che le finalità del Dispositivo, in realtà, non sono propriamente quelle disposte dall’art. 174 del TFUE per i Fondi “della coesione”. [2]
Il Dispositivo ha certe finalità e certe caratteristiche distintive. I Fondi “della coesione” – nel periodo 2021-2027 FESR, FSE Plus e Just Transition Fund (e, per un periodo temporaneo, l’Iniziativa REACT-EU) – hanno altri obiettivi e anche ben altri presupposti a livello di governance e di gestione. [3]

In diversi post degli ultimi mesi ho rimarcato che sarebbe stato auspicabile che i processi di formulazione del Recovery Plan nazionale e di programmazione degli interventi cofinanziati dai Fondi Strutturali procedessero in parallelo.
Così non è stato. E questo, finora, è andato a detrimento della formulazione dei Programmi Operativi cofinanziati dai Fondi Strutturali (per i quali, inter alia, ancora non sono stati pubblicati i Regolamenti nella loro versione ufficiale definitiva sulla GUUE).
Sarebbe pertanto più opportuno che il Parlamento Europeo, piuttosto che “spingere” verso una attuazione dei Recovery Plan ancorata a logiche e liturgie che sono proprie della “politica di coesione” e dei Fondi Strutturali si preoccupasse maggiormente di sollecitare le altre Istituzioni dell’UE, gli Stati e le Regioni a chiudere quanto più rapidamente possibile i negoziati sugli Accordi di Partenariato nazionali 2021-2027 e sui Programmi Operativi, in modo da avviare quanto prima la loro attuazione.

Inoltre, il Parlamento Europeo e le Regioni dovrebbero temere maggiormente conto del fatto che il giusto coinvolgimento di più livelli giurisdizionali nella programmazione e nell’attuazione dei Fondi Strutturali (“principio del partenariato”) ha il suo opportuno contro-altare nel “principio di cofinanziamento”. Com’è noto, gli Stati e le Regioni concorrono alla formulazione dei Programmi pluriennali di spesa e alla loro attuazione, ma sono anche chiamati a compartecipare al loro finanziamento (contribuendo con finanza pubblica nazionale e regionale).

La Figura che segue rammenta in primo luogo che nel caso dei Recovery Plan il finanziamento è integralmente a carico dell’UE, mentre nel caso dei Fondi Strutturali uno dei principi cardini è il cofinanziamento dei Programmi Operativi (con “tassi di partecipazione”, o “tassi di cofinanziamento”, differenziati in base, in primo luogo, alla “categoria di regioni” in cui si collocano le Regioni beneficiarie). [4]
A titolo di completezza va anche aggiunto che i Fondi Strutturali sono attuati in base al principio di “multi-level governance” che, invece, non è opportuno che si applichi al Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, che è uno strumento “a gestione diretta” della Commissione (la forma di gestione diretta è assolutamente condivisibile in primo luogo per il fatto che il Dispositivo è finanziato grazie a un imponente piano di emissione di titoli di debito europei, che è opportuno sia gestito a livello centralizzato).

Un ulteriore aspetto su cui è si può opinare è l’invito del Parlamento Europeo a distribuire i Fondi “equamente” fra settori, gruppi sociali e future generazioni in modo da assicurare il più elevato impatto possibile anche in termini di “convergenza territoriale”. [5]
Questo invito è condivisibile in generale, ma purtroppo accade, molto spesso, che questo invito a una distribuzione “equa” dei finanziamenti si traduce nella mera applicazione di logiche spartitorie (e spesso clientelari) di finanziamenti “a pioggia”.
La logica dei finanziamenti “a pioggia”, com’è ben noto, è molto più funzionale al consolidamento del ciclo “politico-elettorale” che non a quello del ciclo economico.
E’ una logica, peraltro, che alimentando la frammentazione dei progetti, rende più difficoltosi i processi di gestione e controllo e, quel che è peggio, proprio a causa della “polverizzazione” dei progetti, indebolisce la capacità dei Programmi di spesa pluriennale di produrre impatti significativi sullo sviluppo economico.

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Immagine e x Pixabay

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[1] Com’è noto quasi tutti gli Stati Membri hanno presentato i Recovery Plan e, quindi, sono in corso le attività di valutazione da parte della Commissione.
Dopo la valutazione della Commissione, il Consiglio avrà un mese di tempo per decidere se approvare o meno i Piani.
Sulla genesi di NGEU e del Recovery and Resilience Facility si rimanda a: BONETTI A. (2021), Next Generation EU e i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, Centro Studi FUNDS FOR REFORMS LAB, Policy Brief 1/2021, 2.02.2021; SERVIZIO STUDI DEL SENATO (2021), Il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, 11.02.2021; SAPALA M., THOMASSEN L. (2021); Recovery Plan for Europe: State of Play; European Parliamentary Research Service, PE690.656; 7.06.2021.
[2] La formulazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) è condizionata al rispetto di molteplici vincoli riconducibili al Reg. (UE) 2021/241 e non solo, come sintetizza la Figura 3.

I PNRR, come richiesto dal Reg. (UE) 2021/241 e dalle Guidelines della Commissione sulla loro formulazione, fondamentalmente vertono su due grandi azioni di policy:
• le riforme;
• gli investimenti.
Il piano di investimenti del PNRR italiano inviato alla Commissione il 30 Aprile scorso, coerentemente con l’art. 3 del Reg. (UE) 2021/241 che delinea i 6 “pilastri” (aree di intervento di competenza europea) su cui concentrare le risorse, è articolato in 6 Missioni, a loro volta articolate in 16 “componenti” totali.
Il piano di investimenti, inoltre, individua tre obiettivi orizzontali di coesione – inter-generazionale (giovani), di genere (donne) e territoriale (Sud) – e prevede una riserva di contributi finanziari di almeno il 40% per gli investimenti nel Mezzogiorno.
[3] Fra i Fondi della politica di coesione della programmazione 2021-2027 si annoverano il FESR, il Fondo di Coesione – non interessa l’Italia – ed il FSE, ribattezzato FSE Plus, ma anche il FEAMPA (Fondo Europeo per le Attività Marittime, la Pesca e l’Acquacoltura) e il Just Transition Fund (uno strumento di finanziamento ad hoc varato nell’ambito del Piano di investimenti per il “Green Deal europeo”).
A latere va considerata l’Iniziativa REACT-EU – anch’essa varata nell’ambito di Next Generation EU – che costituisce un autentico ponte fra la programmazione 2014-2020 e quella 2021-2027 dei Fondi “della coesione”.
Il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), che finanzia gli interventi strutturali di sviluppo rurale, invece, è stato del tutto disaccoppiato dalla “politica di coesione” e ricondotto integralmente nella Politica Agricola Comune (PAC).
[4] La Figura che segue richiama la definizione delle “categorie di regioni”, come ripresa dall’art. 108 della versione del Regolamento sulle Disposizioni Comuni (RDC) per la programmazione 2021-2027 (che disciplina i Fondi “della coesione” e altri Fondi “a gestione concorrente”) approvata dal Consiglio il 19 Maggio scorso e la distribuzione all’interno di queste “categorie” delle Regioni e delle due Province Autonome italiane.

[5] Si veda il punto 3 della Risoluzione a pagina 3: “the funds must be fairly distributed across sectors, societies and future generations to ensure the highest possible impact on economic and social upward, and territorial convergence, prosperity for all and economic stability”.

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