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Alla ricerca di modelli di welfare pubblico che remunerino gli impatti

‘The light shines in the darkness, and the darkness has not overcome it’
John, Chapter 1, Verse 5

Le clausole “pay-by-result” alla base di nuovi modelli di welfare pubblico che remunerino gli impatti

In un breve post di pochi giorni fa su LinkedIn, il direttore generale di Human Foundation Federico Mento ha rimarcato che ‹‹la valutazione, usata come un poderoso ariete, può favorire la necessaria transizione da un modello di gestione del welfare pubblico che oggi remunera prettamente le attività, appiattito su una logica pseudo-efficientista – e siamo tutti consapevoli che il massimo ribasso è nemico della qualità – e passare ad un approccio che vada a remunerare gli impatti, privilegiando così la massimizzazione dei benefici a favore dei cittadini››. [1]
A mio modesto avviso, in questa affermazione si condensano almeno tre grandi questioni rispetto alle quali il dibattito politico italiano è ampiamente carente (a fronte, invece, di una grande vivacità dello scambio culturale fra i ricercatori e gli addetti ai lavori):
1. come passare anche in Italia da un modello che “remunera le attività”, a un modello che, invece, premia gli impatti sociali delle politiche pubbliche;
2. come superare, di conseguenza (e spiegherò in un post successivo perché usare qui “di conseguenza”) la logica del “massimo ribasso” nelle procedure di evidenza pubblica di affidamento dei servizi;
3. come promuovere una cultura della valutazione sistematica delle politiche pubbliche non solo presso le organizzazioni senza scopo di lucro (missione perseguita con efficacia da Human Foundation), ma anche presso decisori pubblici e burocrati di loro fiducia nella Pubblica Amministrazione (PA). [2]
In questo post, riordinando post già pubblicati nei mesi di giugno e luglio 2018, provo a dare delle indicazioni sul primo punto. Insisto sulla presentazione didascalica degli strumenti di finanza “di impatto” (i Social Impact Bonds), in quanto a me pare che, eccezion fatta per un novero ristretto di esperti e di addetti ai lavori, ancor oggi non vi è sufficiente attenzione sulle potenzialità dei meccanismi di esternalizzazione dei servizi basate su clausole “pay-by-result” quali vettori di innovazione nelle politiche pubbliche e strumenti di contenimento della spesa della PA.
Gli altri due temi saranno oggetto di nuovi post che pubblicherò prossimamente.

Consolidati modelli di intervento che premiano gli impatti: i Social Impact Bonds

I Social Impact Bonds (SIBs) – indicati anche come “Social Benefit Bonds” – sono lo strumento sperimentato massicciamente a partire dal 2010, nei paesi anglosassoni e non solo, per ampliare le fonti di finanziamento delle politiche sociali senza aumentare la pressione fiscale e, al tempo stesso, renderle più efficaci.
In estrema sintesi, si tratta di strumenti di finanza strutturata volti a promuovere partenariati pubblico privati nel campo delle infrastrutture sociali e dei servizi sociali (in questa luce, sono strumenti ampiamente assimilabili alle operazioni di finanza di progetto, la quale si è sviluppata anche in Italia dopo il varo della “legge Merloni” e ss.mm.ii.).
Per capire la struttura dei SIBs è molto istruttiva la sintetica descrizione proposta da una Guida datata marzo 2011 di The Young Foundation (p. 5):

‘under a SIB, a payer (usually Government….) agrees to pay for measurable improved outcomes
of social projects, and this perspective income is used to attract the necessary funds from commercial, public or social investors to offset the costs of the activity that will achieve those better results. This approach is possible where better outcomes lead to tangible public financial savings’.

Questa definizione e l’intera Guida, pertanto, evidenziano come i SIBs siano caratterizzati da: (i) il coinvolgimento di più operatori nel finanziamento di progetti di pubblica utilità; (ii) un programma di azione finalizzato a conseguire un impatto significativo; (iii) un impegno a ripagare i capitali iniziali – in genere da parte un Ente committente pubblico – se vengono raggiunti gli impatti e (iv) un risparmio di spesa pubblica (nel caso di committenti pubblici) consistente, come conseguenza dell’efficacia del programma. [3]
In particolare, questo strumento punta ad ampliare il novero dei potenziali finanziatori privati, attraverso il coinvolgimento di investitori filantropici e di capitalisti “pazienti”, ossia di investitori che, parafrasando un celebre aforisma di Oscar Wilde, oltre a conoscere il prezzo delle cose, sanno anche apprezzare il loro reale valore. [4]
Per quanto concerne i profili giuridici e finanziari, i SIBs sono un particolare meccanismo di contracting out basato su clausole “pay-for-success” (anche indicate come clausole “pay-by-result”) per il finanziamento di interventi socio-assistenziali. In forza di tale clausola, finanziatori ed erogatori privati dei progetti sociali saranno remunerati non sulla base dell’output (“quantità” di servizi erogati ai destinatari), ma sulla base del loro effettivo contributo alla soluzione dei problemi sociali (impact).
Come scrive magistralmente Giulio Pasi in un contributo pubblicato nel 2015 sul portale del progetto “SecondoWelfare”, ‹‹un simile meccanismo poggia su un cambiamento importante rispetto le logiche negoziali classiche della pubblica amministrazione: la stazione appaltante (cioè il settore pubblico) si impegna a pagare solo a fronte di determinati outcomes e non appena sulla base di outputs (o peggio ancora inputs) certificati in una qualche maniera››. [5]
Un progetto finanziato tramite SIBs dovrà produrre un impatto sociale significativo. Questa è la ratio di tali progetti, che porta a identificarli come strumenti di finanza “di impatto”.
Se e solo se i progetti finanziati dai SIBs daranno luogo agli impatti socio-economici concordati fra i contraenti si realizzeranno le condizioni affinchè la PA consegua dei risparmi di spesa e, al tempo stesso, gli investitori possano essere remunerati.

Valutazione di impatto delle politiche pubbliche e dei Social Impact Bonds

Immagine ex Pixabay

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Dal momento che la remunerazione sia dei fornitori di servizi sia degli investitori è legata al raggiungimento – totale o parziale – dei risultati degli interventi quantificati inizialmente e che i risparmi della spesa pubblica per affrontare problemi sociali cronici si potranno concretizzare solo a fronte dell’efficacia/impatto degli interventi, è assolutamente cruciale una rigorosa valutazione del loro impatto.
E su questo tema si sta sviluppando un interessante dibattito di cui non vi è modo di dare conto in questo post.
Un aspetto che, tuttavia, è ampiamente trascurato nel dibattito, invece, è stato messo bene a fuoco da Filippo Montesi (altro esperto di Human Foundation) in un contributo pubblicato sulla rivista online Vita nel 2017. Egli scrive ‹‹sarebbe naïf nutrire l’aspettativa che il SIB, in quanto tale, riduca i problemi sociali, quando la finalità è quella di avere uno strumento utile per sviluppare modelli di intervento più efficaci ed efficienti, e stimolare maggiore attenzione rispetto all’evidenza d’impatto nei meccanismi di finanziamento ed erogazione dei servizi sociali››. [6]
Alla luce delle condivisibili considerazioni di Mento e Montesi, si palesa chiaramente la necessità di dedicare maggiore attenzione alla valutazione del contributo dei SIBs (e delle sottese clausole “pay-by-result”) a:
• migliorare il disegno e gli impatti delle politiche pubbliche; [7]
• contenere effettivamente la spesa pubblica; [8]
• favorire un cambiamento di mentalità presso decisori pubblici e operatori della PA che, a fronte dell’evidenza dei risparmi di spesa e della maggiore efficacia di interventi pubblici informati a clausole “pay-by-result”, opteranno con convinzione, di conseguenza, per tali meccanismi, piuttosto che per quelli orientati al “massimo ribasso” (come auspicato da Mento nel suo breve articolo).

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[1] Si veda l’articolo “Il Generale Custer, Toro Seduto ed il welfare pubblico” pubblicato da Federico Mento su LinkedIn il 2 novembre scorso. Sempre dello stesso autore, fra i tanti contributi che sta producendo sui temi trattati da Human Foundation, si veda:
Lo spettacolo della valutazione pubblicato sul magazine online Vita il 12.12.2017.
[2] Human Foundation è un think tank particolarmente attivo nella promozione della cultura della valutazione di impatto presso le organizzazioni del terzo settore, di metodi avanzati di valutazione dell’impatto dei progetti e di modelli di intervento delle politiche pubbliche innovativi.
Un lavoro di ricerca particolarmente rilevante di Human Foundation (datato 2017) è “Studio di Fattibilità. L’applicazione di strumenti pay by result per l’innovazione dei programmi di reinserimento sociale e lavorativo delle persone detenute” (realizzato con il supporto finanziario di Fondazione Sviluppo e Crescita CRT e il contributo anche di esperti di KPMG).

[3] Mulgan G. et al.; Social Impact Investment: the challenge and opportunity of Social Impact Bonds; The Young Foundation, London 2011

Immagine ex Pixabay

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[4] “Al giorno d’oggi la gente sa il prezzo di tutto e non conosce il valore di niente” – Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray.

[5] Cfr. Pasi G., Saving cost bond: se la revisione della spesa diventa investimento sociale. Qualche osservazione sparsa sull’utilizzo dello strumento nel nostro Paese, SecondoWelfare, 28 Agosto 2015.

Su questi temi si veda anche: Mulgan G.; Finance for Impact: the case for transforming public finance to better support evidence, otucomes, engagement and innovation, NESTA Policy Paper, november 2015

[6] Cfr. Montesi F., I Social Impact Bond? L’obiettivo è stimolare l’innovazione, VITA Magazine – 19 Aprile 2017.
[7] Con riferimento al contributo potenziale dei SIBs al miglioramento generale dei processi di formulazione delle politiche pubbliche, vorrei evidenziare che, trattandosi tutt’oggi di esperienze sperimentali di innovazione dei meccanismi di erogazione dei servizi pubblici, si dovrebbe valutare non solo il loro impatto socio-economico, ma anche, in modo più olistico, la loro influenza sull’intero ciclo di formulazione delle politiche pubbliche. Questo, generalmente, viene suddiviso in tre fasi:
• definizione dell’agenda di policy (definizione dei problemi da risolvere e delle scelte pubbliche per affrontarli);
decision making (fase in cui le scelte pubbliche vengono ufficialmente adottate tramite processi deliberativi formali);
• implementazione (e, a latere, monitoraggio e valutazione, per apprendere dall’esperienza e migliorare successivamente le scelte pubbliche).
[8] Non va dimenticato, infatti, che uno dei fattori che ha dato il via alla sperimentazione dei SIBs sono i vincoli di bilancio sempre più stringenti che, soprattutto dopo la crisi finanziaria del biennio 2007-2008, condizionano l’azione sociale dell’operatore pubblico. Quest’ultimo, pertanto, è sempre più esigente nel richiedere “value for money” e un impatto sociale di rilievo alle organizzazioni private “mission oriented” che svolgono attività complementari all’azione pubblica nel campo della fornitura dei servizi di cura alla persona e alla comunità.

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