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Le difficoltà di accesso ai fondi europei dei Comuni del Lazio. Iniziamo dai problemi dei piccoli Comuni

“Love the problem,
not your solution”
ASH MAURYA [1]

Il post “Fondi europei, Comuni e strategie di sviluppo locale integrate nel Lazio” del 5 gennaio scorso è stato criticato per i seguenti motivi:
• la suddivisione in cluster dei Comuni del Lazio appare un po’ leziosa;
• in linea di principio per tutti i Comuni del Lazio si dovrebbe tenere conto della “zonizzazione” in quattro aree di intervento (A, B, C e D) prevista per tutte le regioni dall’Accordo di Partenariato e dai Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) regionali.

La seconda critica è assolutamente fondata e già in questo post ne tengo conto. Aggiungo anche, tuttavia, che il focus dell’analisi dovrebbe restare comunque sulle Aree C (aree rurali intermedie) e sulle Aree D (aree rurali con problemi complessivi di sviluppo), per due ordini di motivi:
• i piccoli e medi Comuni del Lazio che, in genere, registrano le difficoltà strutturali più rilevanti ricadono nelle Aree C e D;
• gli interventi del PSR regionale potenzialmente di maggiore interesse per i Comuni sono soggetti a delle limitazioni territoriali per cui sono eleggibili solo se localizzati nelle Aree C e D (e limitatamente, con delle motivate eccezioni, nelle Aree B). [2]

La prima critica inerente la suddivisione in cluster per capire meglio quali siano le reali possibilità di accesso ai fondi UE di tutti i Comuni, invece, non è affatto fondata. Anzi, se si vuole avviare seriamente una riflessione su come l’Ente Regione possa sostenere i Comuni nell’accesso ai Fondi dell’UE si dovrebbe:
1. effettuare una classificazione territoriale di tutti i Comuni sulla base di due variabili: (i) l’appartenenza o meno dei Comuni al perimetro della Città Metropolitana di Roma e, come predetto, (ii) la localizzazione o meno in Aree C e D.
In diversi post ho rimarcato, infatti, quanto l’istituzione della Città Metropolitana di Roma abbia sia aggravato la frattura territoriale fra l’economia romana e quella degli altri territori, sia creato un enclave di Comuni – quello appunto della Città Metropolitana – che ha ben altre possibilità di accesso ai fondi dell’UE rispetto agli altri territori anche semplicemente per il fatto di beneficiare del Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane. [3]

In questa luce la “clusterizzazione” dei Comuni che avevo proposto nel post precedente è una buona base di partenza per un progetto di ricerca che, appunto, esamini davvero in profondità le possibilità di accesso ai fondi dell’UE di tutti i Comuni, difficoltà di accesso che sono ampiamente variabili a seconda di dimensioni e localizzazione dei Comuni.

2. Svolgere una oggettiva analisi dei problemi di accesso ai fondi europei registrati in primo luogo dai piccoli Comuni, se possibile con rilevazioni campionarie ed anche interviste dirette sia con un numero selezionato di Sindaci, sia con dei testimoni privilegiati. Se nei contributi più dibattuti a livello mondiale sulla gestione delle imprese commerciali il leit motiv è ormai “fall in love with the problem, not with your solution”, è da questo slogan che si deve ripartire anche per esaminare le criticità di accesso ai fondi europei dei Comuni.
A mio parere, le attività di capacity building previste dalla programmazione 2014-2020 dei fondi europei, infatti, si rilevano poco efficaci in primo luogo per il fatto che, sovente, vanno ad applicare delle soluzioni pre-confezionate, studiate a tavolino.
Le soluzioni a certi problemi vanno esaminati insieme agli amministratori locali, partendo in primo luogo dalle criticità registrate dai Comuni più piccoli. [4]

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Immagine ex Pixabay

Immagine ex Pixabay

[1] Ash Maurya è l’autore dei bestseller di management “Running lean” e “Scaling lean” ed è uno degli esperti che hanno maggiormente contribuito a consolidare l’approccio “lean startup” alla creazione di impresa. Assolutamente da leggere sul blog di Maurya “The BOOTSTART Manifesto”.

[2] Prendendo in considerazione le principali operazioni che annoverano Comuni e altri Enti Pubblici fra i principali beneficiari, i vincoli territoriali all’ammissibilità degli interventi sono i seguenti:
• gli interventi devono essere localizzati esclusivamente nelle aree C e D per le SottoMisure 7.2, 7.4, 7.5, 7.6 e 7.7 della Misura 7 “Servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali”. Per la SottoMisura 7.3 sulla banda ultra-larga nelle aree rurali la scelta delle aree cui dare priorità seguono altre logiche di delimitazione e sono stabilite dall’Accordo di Programma Quadro fra la Regione Lazio e il Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE);
• gli interventi possono essere localizzati nelle aree C e D e, sotto determinate condizioni, anche nelle aree B per la SottoMisura 7.1 “Sostegno per la stesura e l’aggiornamento dei Piani di Sviluppo dei Comuni e dei villaggi situati nelle zone rurali” e per la Misura 19 (“approccio LEADER”);
• per l’operazione 4.3.1 “Miglioramento e ripristino della mobilità rurale e forestale extra-aziendale e punti di abbeveraggio per il bestiame” è indicata una generica priorità per i Comuni delle Aree D.

Per una più ampia presentazione degli interventi del PSR a sostegno degli Enti Locali mi sia consentito rinviare a: Bonetti A. (2017); Gli interventi del Programma di Sviluppo Rurale del Lazio per gli Enti Locali, Centro Studi FUNDS FOR REFORMS LAB; Policy Brief 4/2017.

[3] I principali post che invito a rileggere sono:
Aree vaste, riforma delle autonomie locali e nuove funzioni dei GAL” del 30 settembre 2016;
Il progetto Metropoli strategiche, le aree rurali e i piccoli Comuni” del 10 maggio 2017.
In questi ed altri post sulla programmazione 2014-2020 nel Lazio ho avanzato dei rilievi critici sulla scarsa attenzione dei decisori pubblici regionali per i limiti di un modello di sviluppo palesemente “romano-centrico”. Peraltro, è noto che il fondamento della “politica di coesione” della UE come delineata fra metà anni Ottanta e metà anni Novanta da Jacques Delors, risiede nella semplice considerazione che la coesione territoriale è conditio sine qua non per la coesione sociale e per quella politica.
A questo si aggiunge un altro rilievo critico sul fatto che, allo stato attuale, i Piani di Sviluppo Locale (PSL) finanziati dalla Misura 19 del PSR regionale sul LEADER ancora sono ai nastri di partenza e la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) della regione sembra finita nel dimenticatoio. Per questo motivo nel precedente post e in questo non faccio alcuna considerazione sui Comuni che ricadono nell’ambito delle aree pilota della SNAI regionale.
A titolo di completezza aggiungo anche che le considerazioni sviluppate in questo post non tengono conto delle nuova “legge sui piccoli Comuni” (Legge n. 158 del 6 ottobre 2017, pubblicate in Gazzetta Ufficiale il successivo 2 novembre). Tuttavia, tale legge, nel corso dell’indagine a cui ho fatto cenno, andrà tenuta in debita considerazione.
[4] Occupandomi di fondi UE, mi sono promesso di verificare come un siffatto progetto di ricerca potrebbe essere finanziato con i c.d. “fondi diretti” della UE, fra cui Horizon 2020 (la sfida sociale 6 del III pilastro di Horizon 2020 finanzia ricerche in ambito umanistico e sociale, ma temo che il Work Programme 2018-2020 non preveda topic adatti). Certamente su questo tema si potrebbe ipotizzare di realizzare seminari internazionali e/o scambi di buone pratiche attraverso i Programmi dell’UE Urbact ed Europa per i Cittadini. Infine, si potrebbe anche verificare la fattibilità di un siffatto studio nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Governance e Capacità istituzionale, dato che il terzo Asse di questo PON è proprio finalizzato a implementare azioni di miglioramento degli Enti Locali e del sistema italiano di Multi Level Governance.

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