Nuovi modelli di funding della PA. I modelli informati alla logica “pay-for-success”

“The rough sleepers are frequent users
of government services.
Cutting their number should save
the Greater London Authority
enough money to fund payments
to investors if goals are met”
THE ECONOMIST, “Social-Impact-Bonds.
Commerce and conscience”, 23.02.2013

Nuovi modelli di funding della PA informati alla clausola “pay-for-success

I vincoli di finanza pubblica che condizionano in Italia l’attuazione delle riforme amministrative, la modernizzazione della PA e, non ultimo, l’aumento degli investimenti pubblici, come già evidenziato nel post del 20 ottobre scorso, spingono a interrogarsi su nuovi modelli di finanziamento dell’intervento pubblico.

Sulla scorta di diverse esperienze innovative di un certo successo all’estero, anche gli esperti italiani stanno concentrando la loro attenzione su quei meccanismi di esternalizzazione della gestione dei servizi socio-assistenziali e di altri servizi di pubblica utilità informati a clausole “pay-for-success. Tali clausole, semplificando, si fondano su contratti in forza dei quali la PA non paga gli operatori che erogano i servizi in base all’output, ma in base all’outcome, ossia ai risultati effettivamente ottenuti.
A partire dal 2010 si è diffuso rapidamente un particolare meccanismo di contracting out basato sulla clausola “pay-for-success per il finanziamento di interventi socio-assistenziali, denominato Social Impact Bond (SIBs). Si tratta di uno strumento che presenta una struttura finanziaria e una struttura operativa alquanto complesse, che verrà presentata nel post del prossimo 20 dicembre.

Euros_Morguefile_sept 2015Recentemente, Bisio e Nicolai hanno focalizzato l’attenzione sui Saving Cost Bonds (Scb), un altro strumento basato su logiche “pay-for-success” che potrebbe consentire alla PA di conseguire dei risparmi di spesa o a continuare a finanziare determinati servizi senza aumentare la pressione fiscale. Per usare le parole di Bisio e Nicolai, « i Scb si possono configurare come un modello di finanziamento potenzialmente applicabile a tutti gli interventi, i servizi e gli investimenti che sono in grado di creare efficienze gestionali e riduzione dei costi [….] Essi si concretizzano in obbligazioni dove restituzione e rendimento sono variabili e connessi alla performance conseguita in termini di risparmi ottenuti ».
La proposta di Bisio e Nicolai è stata successivamente commentata con grande acume da Pasi in un articolo pubblicato il 28 agosto sul portale del progetto di ricerca “Secondo Welfare.
Pasi, pur accogliendo con favore la proposta e le argomentazioni di Bisio e Nicolai, ha rimarcato che, diversamente da quanto sostenuto da questi autori, i SIBs non sono “confinanti” al solo campo dei servizi socio-assistenziali e anch’essi, come i Scb, potrebbero essere applicati anche ad altri ambiti dell’intervento pubblico [1].
Sulla scorta della conoscenza delle principali applicazioni dei SIBs a livello internazionale, nel paragrafo che segue vorrei aggiungere qualche considerazione personale su questi due strumenti.

Alcune considerazioni su Social Impact Bonds e Saving Cost Bond

A mio modesto avviso ambedue i contributi richiamati sopra sono interessanti ed ampiamente condivisibili. E, soprattutto, ambedue gli strumenti discussi si profilano come strumenti potenzialmente di grande utilità per conseguire risparmi di spesa pubblica e, non ultimo, per incrementare la sua efficacia.
Stante il fatto che si tratta di contributi molto brevi – e, quindi, contributi che si soffermano sugli elementi essenziali – vorrei qui aggiungere per punti alcune considerazioni su questi strumenti “pay-for-success” che spero aiutino a capire meglio le loro potenzialità (e anche eventualmente i loro limiti di applicazione):

  • i SIBs, in linea di principio, possono certamente trovare anche applicazione in altri ambiti dell’intervento pubblico, oltre che nei servizi socio-assistenziali, come evidenzia Pasi [2]. A me sembra, tuttavia, che non si tratti tanto di ragionare sui settori di intervento, quanto, in particolare, sulle caratteristiche dei destinatari finali. Sulla base dei progetti principali che, a livello internazionale, sono stati finanziati con i SIBs, mi pare di poter dire che questi siano più funzionali a finanziare progetti elaborati sulla base di problemi ed esigenze specifiche di gruppi target puntuali (determinati gruppi di svantaggiati), mentre i Scb siano più funzionali a finanziare interventi che concernono la cittadinanza in generale (gli utenti di servizi di pubblica utilità in generale). In particolare, i progetti pilota che hanno visto la sperimentazione dei SIBs hanno interessato particolari gruppi target, affetti da problemi sociali cronici e/o non facilmente superabili (ex detenuti soggetti al rischio di esclusione sociale permanente, alcolisti, senza fissa dimora…)[3];
  • la diversa denominazione dei due strumenti, mi pare sia sufficientemente esplicativa della loro diversa “finalizzazione” strategica. I SIBs intendono soprattutto incrementare l’efficacia di determinati servizi, aumentando l’impatto in relazione a quelli che sembrano essere problemi sociali apparentemente senza una soluzione definitiva (soddisfacente reinserimento sociale di ex detenuti, di alcolisti o tossicodipendenti; recupero sociale dei senza fissa dimora e altri). I Scb, invece, sono più orientati a garantire una migliore efficienza nell’erogazione di determinati servizi pubblici. Non a caso, per i SIBs l’elemento chiave della clausola “pay-for-success” è l’impatto quantificato degli interventi, mentre per i Scb è lo stesso risparmio di spesa garantito alla PA dalla migliore performance operativa. Come scrivono chiaramente Bisio e Nicolai a proposito dei Scb « gli investitori [beneficiano] dei rendimenti nel caso in cui il progetto raggiunga gli obiettivi minimi di performance prestabiliti »;
  • a parte la loro focalizzazione sull’impatto dei progetti, i SIBs, diversamente dai Scb, dovrebbero garantire una minore pressione sulla finanza pubblica o sui contribuenti non tanto grazie a delle più elevate performance operative, ma grazie al risparmio di spesa che si dovrebbe conseguire affrontando determinati problemi sociali in ottica “preventiva” e non in ottica “curativa” [4]. A mio modesto avviso è questo elemento il vero “unique selling point” dei SIBs, come cerco di spiegare nell’ultimo paragrafo.

Social Impact Bonds e risparmi di spesa pubblica

Specialmente i primi progetti pilota nei paesi anglosassoni hanno chiaramente evidenziato l’importanza di utilizzare i SIBs per finanziare progetti sociali “preventivi”. Questo sia per contrastare in modo più efficace determinate problematiche sociali, sia per conseguire, proprio grazie a questa maggiore efficacia, i desiderati risparmi di finanza pubblica [5].
In merito ai possibili impatti positivi sulla finanza pubblica di tale strumento, va anzitutto esplicitato che si tratta di strumenti che comportano per la PA una spesa differita rispetto al loro avvio, in quanto sono inizialmente finanziati da operatori privati interessati al ritorno sociale dei loro investimenti, oltre a quello finanziario. Tale spesa, peraltro, si registrerà effettivamente se e solo se i progetti conseguiranno i risultati quantificati nelle clausole contrattuali e, quindi, gli investitori avranno “guadagnato”, grazie ai risultati prodotti dal progetto, il diritto a essere ripagati del principale più un determinato premio finanziario.
Ma l’aspetto ancora più importante è che un siffatto meccanismo consente di finanziare interventi “preventivi”, ossia interventi per i quali i decisori pubblici hanno maggiori difficoltà nel giustificare la loro realizzazione ai contribuenti. Ad esempio, anche in Italia sappiamo che i cittadini invocano a gran voce interventi di tutela del territorio e del patrimonio naturale solo dopo che si sono registrate delle calamità.

In generale, gli interventi preventivi, laddove si rilevino efficaci, consentono di ottenere dei risparmi di spesa. I costi pubblici dei problemi sociali cronici, infatti, generalmente sono più elevati di quelli di interventi che ne rimuovano le cause in modo efficace, intervenendo prima che si manifestino o che rilevino una irreversibile cronicità.
E’ il risparmio di spesa che i SIBs dovrebbero garantire, finanziando degli interventi preventivi, il vero punto di forza specifico di questo strumento, come spiegava con grande efficacia The Economist in un articolo dell’edizione del 23 Febbraio 2013 in cui veniva presentato il primo progetto finanziato con i SIBs a Londra, finalizzato a recuperare alla vita sociale degli homeless. Inoltre, la stessa clausola “pay-for-success” dovrebbe garantire una maggiore attenzione anche all’efficienza dei progetti, oltre che al loro impatto sociale.

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[1] Cfr. BISIO L., NICOLAI M., Saving cost bond: nuove soluzioni per gli investimenti locali, ilSole24Ore Quotidiano Enti Locali e PA, 30 Luglio 2015. Molto interessante è anche l’articolo di commento di Giulio Pasi, pubblicato sul portale del progetto “Secondo Welfare”. Cfr. PASI G., Saving cost bond: se la revisione della spesa diventa investimento sociale. Qualche osservazione sparsa sull’utilizzo dello strumento nel nostro Paese, SecondoWelfare, 28 Agosto 2015.
[2] In questa luce è significativo – e molto interessante – che il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) stia esaminando la possibilità di finanziare alcune azioni di politica industriale con Industrial Development Bonds “per veicolare risorse non bancarie verso investimenti in innovazione”. Si veda la relazione del MISE “Finanza per la crescita: le azioni del Governo“, a firma di Stefano Firpo, Capo della Segreteria Tecnica del Ministro.
[3] Questa considerazione rimanda a un aspetto metodologico di non poco conto. Nel caso dei Scb appare di gran lunga più semplice la valutazione degli impatti dei progetti che non nell’altro caso. Non a caso, per i progetti finanziati dai SIBs è parte della complessa architettura legale di tali strumenti la stessa metodologia di valutazione degli impatti socio-economici. Come è noto, la valutazione quantitativa degli impatti sui destinatari degli interventi sociali è alquanto complessa e andrebbe fondata, come previsto dai progetti finanziati dai SIBs, su rigorosi metodi e strumenti di analisi controfattuale. Per una introduzione ai metodi di analisi controfattuale in Italiano, si rinvia a: Martini A., Mo Costabella L., Sisti M., Valutare gli effetti delle politiche pubbliche. Metodi e applicazioni al caso italiano, FORMEZ-Collana Materiali, Roma 2006
[4] In una Guida sui SIBs del centro di ricerca inglese The Young Foundation viene riportato un autentico algoritmo per la valutazione della fattibilità e della potenziale efficacia di progetti finanziati mediante SIBs, in cui questo aspetto viene messo in cima alla lista delle condizioni:

  • si tratta di interventi preventivi e non ci sono sufficienti fondi pubblici disponibili?
  • gli interventi hanno un impatto rilevante?
  • gli impatti sociali possono essere quantificati?
  • un numero sufficienti di individui beneficierà degli interventi?
  • per la PA si potrà registrare un significativo risparmio dei costi?
  • la riduzione prevista della spesa pubblica per interventi “curativi” di problematiche sociali potrà più che compensare i “costi di transazione” e i costi operativi dei progetti finanziati tramite SIBs?
  • vi è effettivamente interesse da parte del Governo per la sperimentazione dei SIBs?

Cfr. Mulgan G. et al.; Social Impact Investment: the Challenge and Opportunity of Social Impact Bonds; The Young Foundation, London 2011
[5] La logica secondo la quale i SIBs dovrebbero essere finalizzati a favorire solo una riduzione della spesa pubblica viene criticata, in un interessante contributo recente, da Pasi. Mi pare che tuttavia Pasi – il quali concentra l’analisi sull’esperienza statunitense – trascuri elementi rilevanti qui rimarcati (e rimarcati anche nella letteratura britannica). La spesa verrebbe ridotta per la finalizzazione delle risorse finanziarie – pubbliche e da capitalisti filantropici – sugli interventi preventivi, interventi che possono “prevenire” non solo malattie e disagio sociale, ma anche i maggiori costi sociali che ne deriverebbero. Personalmente non considero i SIBs un “cavallo di Troia” per spingere una ulteriore privatizzazione del sistema di welfare. Anzi, sono dell’avviso che: (i) favoriscano addirittura un rafforzamento della capacità di indirizzo dell’operatore pubblico rispetto ai meccanismi tradizionali di contracting out; (ii) possano migliorare l’intervento pubblico a condizione che i meccanismi di contracting out vengano finalizzati realmente sull’outcome e non sull’output e che interessino interventi preventivi.
Cfr. Pasi G., Social impact bond: le cause trascurate e l’attenzione a conseguenze e prospettive Un dibattito un po’ lezioso sull’impact investing che chiede alla comunità epistemica un approccio interdisciplinare, SecondoWelfare, 9 Settembre 2015.

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