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Educazione all’imprenditorialità e processi di creazione di impresa

Effectual thinkers are like explorers setting out on voyages
into unchartered waters (Columbus discovering the new world)
Saras Sarasvathy [1]

Nel mio precedente articolo del 10 dicembre scorso ho posto in evidenza la necessità di una riflessione più approfondita sull’importanza di rafforzare gli interventi che si possono far ricadere nell’ambito della c.d. “educazione all’imprenditorialità” e di quelli a sostegno della creazione di impresa nel corso della programmazione 2021-2027 del “nuovo” Fondo Sociale Europeo (che si chiamerà FSE Plus).
Specialmente in Italia, infatti, si tende a confondere le iniziative di “educazione all’imprenditorialità” e le molteplici azioni formative per equipaggiare i discenti con capacità manageriali e altre competenze utili per creare e gestire un’impresa. I corsi ed altre iniziative inerenti alla “educazione all’imprenditorialità”, in realtà, sono orientati non tanto a formare dei potenziali “manager” e a sostenere i processi di creazione di impresa, quanto a sviluppare nei beneficiari una mentalità imprenditoriale (utile in qualsiasi fase della vita e quale che sia l’impiego di un individuo).
Si tratta di interventi che possono e debbono avere come gruppo target tanto giovani ancora in età scolare e/o frequentanti percorsi di alta formazione, quanto lavoratori adulti che hanno necessità di ricollocarsi dopo aver perduto una precedente occupazione, o che vogliono avviare un’attività autonoma. A maggior ragione degli adeguati percorsi di “educazione all’imprenditorialità” dovrebbero essere considerati prodromici alle attività di formazione e di consulenza finanziati con risorse pubbliche per sostenere la creazione di impresa da parte di soggetti particolarmente fragili (lavoratori e lavoratrici con modeste competenze, ex tossicodipendenti ed ex detenuti; immigrati; altri in condizioni di svantaggio).

A mio parere, in vista della formulazione degli interventi finanziati dal “nuovo” Fondo Sociale Europeo Plus (FSE Plus) nel periodo 2021-2027 servirebbe una riflessione più approfondita sui progetti di “educazione all’imprenditorialità” realizzati dalle scuole secondarie di primo grado e dalle scuole secondarie di secondo grado (siano esse licei, istituti professionali o istituti tecnici). [2]
A livello internazionale, in vero, vi è crescente contezza dell’importanza dei percorsi di “educazione all’imprenditorialità” anche all’interno del sistema scolastico. L’educazione all’imprenditorialità rivolta ai giovani in età adolescenziale è considerata sempre più un potente strumento non tanto per motivare i giovani a fare impresa (è così che molti intendono, in modo errato, questi progetti), quanto per migliorare la loro capacità di assumersi responsabilità, affrontare decisioni complesse e sviluppare una mentalità pro-attiva ed aperta al rischio. [3]
In altri termini, si tratta di sviluppare nei giovani discenti quelle che sono considerate delle caratteristiche peculiari degli imprenditori “veri” (quelli che, richiamando un celebre aforisma del venture capitalist Guy Kawasaki, “vogliono cambiare il futuro” e che, come suggerito dall’accademica Saras Sarasvathy, agiscono come dei “navigatori”, che improvvisano la rotta in quanto non hanno delle mappe dettagliate, proprio perché vogliono cambiare il futuro e “creare” nuovi mercati). [4]
Il “Gruppo tematico sull’educazione all’imprenditorialità” istituito all’inizio di questo decennio dalla Commissione Europea, non a caso, individua quale oggetto distintivo dei progetti di educazione all’imprenditorialità «lo sviluppo nei discenti delle competenze e della mentalità necessarie a far sì che possano trasformare idee creative in azioni imprenditoriali. Si tratta di una competenza chiave per tutti i discenti, di supporto allo sviluppo personale, alla cittadinanza attiva, all’inclusione sociale e all’occupabilità. Essa è importante in tutto il processo di apprendimento permanente, in tutte le discipline di studio e per tutte le tipologie di istruzione e formazione (formali, non formali e informali) che contribuiscono a creare uno spirito o un comportamento imprenditoriale, con o senza un obiettivo commerciale». [5]

Prendendo come termini di riferimento i quattro pilastri dell’educazione individuati dall’UNESCO (imparare ad essere; imparare a conoscere, imparare a fare ed imparare a vivere insieme) i progetti di educazione all’imprenditorialità dovrebbero essere volti soprattutto a migliorare nei discenti:
• le competenze soft inerenti alla capacità di essere;
• la capacità di imparare a vivere insieme ed a gestire le dinamiche di cooperazione/competizione che nel mondo reale interessano tutti gli imprenditori e tutte le aziende. In merito a questa funzione specifica dei progetti di educazione all’imprenditorialità preme evidenziare due aspetti: (i) fra le principale cause di fallimento delle neo-imprese con più soci va annoverato il venir meno dei rapporti di fiducia e di collaborazione fra i soci; (ii) secondo l’accademica Sarasvathy una delle competenze fondamentali dei veri imprenditori è quella di saper costruire e mantenere rapporti di collaborazioni con molteplici potenziali partners/stakeholders (capacità di valorizzare le reti sociali e professionali e di cooperare).
Purtroppo, presso le scuole – e non solo – è diffusa la convinzione che siffatti progetti si debbano chiudere con la stesura di un business plan e/o con la simulazione di processi di creazione di impresa.
A mio parere i giovani dovrebbero apprendere il “saper fare” una impresa ed affari all’università e in percorsi di alta formazione post-laurea ad hoc (Master in Business Administration ed altri simili).
Negli istituti scolastici, i ragazzi in età adolescenziale, grazie ai progetti di educazione all’imprenditorialità, dovrebbero apprendere a sapersi assumere delle responsabilità; a migliorare la capacità di esaminare un problema (di qualsiasi natura) e a sviluppare attitudine al problem solving, e, non ultimo, a sviluppare capacità creative ed innovative (il c.d. “pensiero laterale”), in modo che nel corso della vita abbiano la capacità e la forza di tracciare rotte del tutto nuove anche nei momenti più difficili in cui sembra che non vi sia alcuna mappa per orientarsi.

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Immagine ex Pixabay

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[1] Sarasvathy S.D. (2005); What Makes Entrepreneurs Entrepreneurial?; Harvard Business Review; September 2005.
[2] Sarebbe molto importante anche una adeguata riflessione sull’importanza di iniziative di educazione all’imprenditorialità, mutatis mutandis, presso gli istituti di formazione professionale e i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA).

[3] A tale riguardo si ricorda che diffusione di cultura di impresa fra i giovani ed educazione all’imprenditorialità anche nelle scuole secondarie erano state individuate come azioni trasversali ormai ineludibili per rilanciare spirito imprenditoriale e competitività del sistema produttivo in Italia nel documento strategico “Restart, Italia! licenziato dal Governo Monti nella primavera del 2012 e considerato il documento di policy che ha supportato l’adozione di una normativa specifica inerente a una nuova forma di impresa denominata “start-up innovativa”.
[4] Sui processi di creazione di impresa e sull’effettivo modus operandi di imprenditori particolarmente vocati all’innovazione si vedano: Kawasaki G. (2004), The Art of the Start, Penguin Publishing, New York; Sarasvathy S.D. (2005); What Makes Entrepreneurs Entrepreneurial?; Harvard Business Review; September 2005; Sarasvathy S.D. et al. (2010); Effectual Entrepreneurship; Routledge, New York; Buchanan L. (2011); How Great Entrepreneurs Think. Think inside the (restless, curious, eager) minds of highly accomplished company builders; Inc.Magazine, 1.02.2011; De Brabandere L., Iny A. (2013), Thinking in New Boxes. A New Paradigm for Business Creativity, Penguin Publishing, New York; Seeling T. (2015); Insight Out: Get Ideas Out of your Head and Into the World; HarperOne Publishing. San Francisco (CA); Shilling M. (2018); Ribelli. Nella testa di uomini e donne che inventano il futuro; Sperling & Kupfler, Milano.
[5] Il “Gruppo tematico sull’educazione all’imprenditorialità” era stato istituito nel novembre 2011. Composto da esperti di 24 diversi paesi e da rappresentanti delle associazioni datoriali e di quelle sindacali, aveva la missione precipua di orientare Commissione e Stati membri nell’implementazione di iniziative volte a dare corso principi e suggerimenti della c.d. “agenda di Oslo” in materia di educazione all’imprenditorialità L’agenda in questione muove e prende il nome dalla Conferenza di Oslo del 26 e 27 ottobre 2006 (Conferenza “Entrepreneurship Education in Europe: Fostering Entrepeneurial Mindsets Through Education and Learning”).

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