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Il “nuovo” Fondo Sociale Europeo Plus: l’importanza di sperimentare approcci innovativi per sostenere la creazione di impresa

 “Entrepreneur is not a job title. It’s a state of mind
of people who want to alter the future

Guy Kawasaki [1]

Gli “obiettivi specifici” del Fondo Sociale Europeo Plus 2021-2027: l’importanza delle azioni a sostegno dello spirito imprenditoriale e del lavoro autonomo

Come ho ricordato nei precedenti post degli ultimi due mesi il “nuovo” Fondo Sociale Europeo Plus 2021-2027 (FSE Plus 2021-2027) è strutturato intorno a tre ambiti di intervento, assolutamente in linea con quelli della programmazione 2014-2020 del FSE – (i) occupazione; (ii) istruzione, formazione professionale e lifelong learning e (iii) inclusione sociale) – e ad undici “obiettivi specifici”. [2]

Ho già evidenziato nel mio post del 20 novembre scorso – Il discutibile impianto del “nuovo” Fondo Sociale Europeo Plus 2021-2027 – che la struttura del “nuovo” FSE Plus presenta diversi elementi di debolezza.

Fra questi metterei la mancanza di una riflessione più approfondita sull’importanza di rafforzare gli interventi che si possono far ricadere nell’ambito della c.d. “educazione all’imprenditorialità” e di quelli a sostegno della creazione di impresa. Si tratta di interventi che possono e debbono avere come gruppo target tanto giovani ancora in età scolare e/o frequentanti percorsi di alta formazione, quanto lavoratori adulti che hanno necessità di ricollocarsi dopo aver perduto una precedente occupazione, o che vogliono avviare un’attività autonoma.

Con specifico riferimento all’inserimento in FSE Plus della “Garanzia Giovani” (Youth Employment Initiative della programmazione 2014-2020) e alle tematiche dell’inserimento lavorativo di NEET e altre fasce deboli delle forze di lavoro, il mio parere è che il dibattito intorno al “nuovo” FSE Plus non dedica abbastanza spazio a una riflessione sull’importanza degli interventi a favore della creazione di impresa per i soggetti particolarmente vulnerabili. A fronte della stagnazione economica che attanaglia tutto il vecchio continente e, al tempo stesso, dell’apertura di nuovi mercati resa possibile dall’incessante innovazione tecnologica e dalla digitalizzazione dell’economia, servirebbe una riflessione più approfondita sull’importanza dell’auto-impiego quale autentico strumento di inclusione sociale per i giovani NEET e per i soggetti particolarmente vulnerabili.

Il presente post concerne l’obiettivo specifico 1 del FSE Plus 2021-2027 (“Migliorare l’accesso all’occupazione di tutte le persone in cerca di lavoro, in particolare i giovani e i disoccupati di lungo periodo, e delle persone inattive, promuovendo il lavoro autonomo e l’economia sociale”).

Anche se la proposta di regolamento su FSE Plus – COM (2018) 382 della Commissione del 30.05.2018 – e altri documenti di riflessione avanzati dal Servizio Ricerca del Parlamento Europeo al momento non specificano meglio le tipologie di intervento che verranno attuate nell’ambito di questo obiettivo specifico, sulla base dell’esperienza si può ritenere che anche nel nuovo ciclo avranno un peso di rilievo gli interventi volti a sostenere il lavoro autonomo e la creazione di impresa (tali interventi, nella programmazione in corso, rientrano in una delle sette Azioni prioritarie dell’area tematica 8, ossia l’Azione 8.3 “Attività autonoma, spirito imprenditoriale e creazione di impresa”).

Preme evidenziare che questo contributo non costituisce altro che un aggiornamento del post “La programmazione FSE 2014-2020: l’importanza di sperimentare nuovi approcci per sostenere il lavoro autonomo e imprenditorialità sociale” del 1° dicembre 2013  in cui proponevo di sperimentare delle modalità innovative di implementazione delle azioni di sostegno alla creazione di impresa finanziate dal FSE. Quella proposta, quantunque il dibattito sulle modalità di sostegno alla creazione di impresa presentate nel paragrafo successivo abbia fatto in questi anni passi avanti significativi anche in Italia, resta ancora attuale con riferimento ai Fondi Strutturali e, quindi, penso sia opportuno riproporla nuovamente a distanza di anni.

Nuovi approcci per sostenere la creazione di impresa e nuovi strumenti per guidare i processi di creazione di valore

Le politiche industriali europee e nazionali, negli anni della lunga crisi iniziata nel biennio 2007-2008, hanno tentato di rivitalizzare i sistemi produttivi attraverso incentivi fiscali e finanziari ed anche semplificazioni amministrative, volte a favorire in primo luogo la creazione di start-up fortemente vocate all’innovazione. La scelta strategica di scommettere sull’ingresso sul mercato di nuove imprese innovative muove da una letteratura sempre più accreditata che vede nella “imprenditorialità” l’elemento di congiunzione necessario fra nuove opportunità di sviluppo rese possibili dal progresso scientifico e dalla pervasività delle nuove tecnologie digitali e crescita economica e nuova occupazione. [3]

Questo post, così come quello del 1° dicembre 2013, muove dalla considerazione che il vecchio modello generalmente adottato nell’ambito della programmazione FSE (e anche da incubatori di impresa e centri servizi avanzati alle imprese più tradizionali) per sostenere la creazione di impresa appare ampiamente discutibile e da riformulare. 

Il vecchio modello può essere sintetizzato con un processo “a cascata” che, a parere di chi scrive, va ampiamente rivisto per quel che concerne i suoi presupposti logici e adeguatamente arricchito con l’introduzione di una fase preliminare di “educazione all’imprenditorialità” e la formulazione – prima del business plan – del business model di una impresa (v. Figura 1 in fondo al post). Le macro-fasi sono:

  • fase preliminare alle attività formative e di mentoring;
  • fase di training, mentoring e di sviluppo dell’idea imprenditoriale;
  • fase di avvio della neo-impresa.

In questo processo “a cascata” che sintetizza il vecchio modello, la formulazione del business plan viene proposta come una autentica pietra angolare del processo di creazione di nuove imprese. Questo per due motivi principali:

  • si ritiene che se i neo-imprenditori, al termine della fase di formazione/mentoring, sapranno elaborare un business plan avranno di certo acquisito delle competenze bastevoli sulla gestione di impresa;
  • tutti i neo-imprenditori per accedere a dei finanziamenti esterni, sia che si rivolgano ad intermediari finanziari tradizionali, sia che si rivolgano a venture capitalist e business angel, dovranno presentare quale biglietto da visita della credibilità della loro idea imprenditoriale il business plan.

In realtà, il processo “a cascata” di cui sopra è il portato di una visione manichea sia dei processi di creazione di impresa – considerati quasi alla stregua di esperimenti di laboratorio formulati secondo pre-definiti “protocolli” – sia degli strumenti da utilizzare quale “cruscotto” dei processi di gestione aziendale.

In alternativa a questo percorso “lineare” di creazione di impresa si potrebbe adottare un approccio più olistico, i cui capisaldi siano i seguenti:

1. a livello di impostazione generale, l’adozione dell’approccio “lean start-up” alla creazione di impresa. Questo approccio, i cui principali esponenti sono Steve Blank (2005, 2013) ed Eric Ries (2011), viene anche indicato come “evidence-based entrepreneurship” per il fatto che il percorso di creazione di impresa e di ingresso nei mercati non viene visto come un percorso lineare, ma come un percorso sperimentale di tentativi ed errori, in cui ad ogni fase si apprende dalle lezioni dell’esperienza e dagli errori della fase precedente (approccio “evidence-based” all’avvio di nuove imprese e al mercato). [4]

L’approccio “evidence-based” è chiaramente informato a processi decisionali “doing first”, assolutamente alternativi a quelli “thinking first” che caratterizzano le modellizzazioni tradizionali del percorso di creazione di impresa (e la formulazione di interventi di sostegno ai potenziali neo-imprenditori cofinanziati nell’ambito delle politiche strutturali per l’occupazione cofinanziate dal FSE). Si parla di un approccio “lean” alla creazione di impresa proprio per il fatto che essa non si fonda su lunga fase di pianificazione strategica e finanziaria che porta alla formulazione definitiva del business plan, ma su una costante fase operativa di market discovery (o meglio, per usare le parole di Blank, una incessante fase di “customer development”). [5]

Il presupposto logico, in sostanza, è che una idea innovativa va “portata sul mercato” e va migliorata attraverso un processo iterativo guidato dai feedback dei potenziali clienti. Sarà sulla base di questi feedback e dei risultati – eventualmente anche fallimentari – di mercato, che quella idea dovrà essere corretta, adattata e, se del caso, riproposta ex novo. Sono parte integrante di questo approccio l’adozione di: (i) metodi quasi scientifici alla individuazione di “finestre di opportunità” nei mercati per i neo-imprenditori, informate principalmente al c.d. “New Business Road Test” elaborato da John Mullins; (ii) pertinenti metriche per misurare il successo imprenditoriale [6];

2. l’introduzione nella fase preliminare ai processi formativi e consulenziali di servizi di orientamento specifici informati a principi e tecniche della c.d. “educazione all’imprenditorialità”.

Tali principi e tecniche, infatti, non sono tanto orientati a formare dei potenziali “manager” e a sostenere i processi di creazione di impresa, quanto a sviluppare nei beneficiari una mentalità imprenditoriale (utile in qualsiasi fase della vita).

In altri termini, i processi di “educazione all’imprenditorialità” sono volti a sviluppare, quali che siano i beneficiari (dagli studenti delle scuole a lavoratori che hanno perduto un’occupazione e debbono ricollocarsi nel mercato del lavoro a degli aspiranti neo-imprenditori) quelle che sono considerate delle caratteristiche peculiari degli imprenditori “veri” (quelli che, richiamando il celebre aforisma – citato all’inizio del post – del venture capitalist Guy Kawasaki, “vogliono cambiare il futuro” e che, come suggerito dall’accademica Saras Sarasvathy, agiscono come dei “navigatori”, che improvvisano la rotta in quanto non hanno delle mappe dettagliate, proprio perché vogliono cambiare il futuro e si muovono in contesti di incertezza sistemica) [7];

3. l’introduzione di un approccio alternativo alla definizione del piano strategico della neo-impresa, incentrato su una rigorosa (e al tempo stesso “lean”) formulazione del “modello di business” di una impresa, intendendosi per “modello di business” il “quadro logico” dei processi di creazione di valore per i clienti/beneficiari finali di una organizzazione.

L’approccio suggerito per la formulazione del “modello di business” è il Business Model Canvas (BMC) introdotto da Alexander Osterwalder e Yves Pigneur (2010; 2014), in quanto è in grado di far esaltare meglio di altri tanto l’importanza di “capacità di visione”, creatività e “core competences” dell’imprenditore, quanto quella di una adeguata identificazione dei vantaggi effettivi della “proposta di valore”.

Il BMC di Osterwalder e Pigneur – costantemente arricchito da Alexander Osterwalder sul suo blog http://www.strategyzer.com – è strutturato intorno a “quattro macro-aree” (di cui parlerò più diffusamente in dei post successivi):

  • infrastruttura (risorse chiave, attività chiave, partners chiave),
  • offerta di valore per la clientela (benefici materiali e immateriali),
  • clientela (gruppo target, relazioni con il target, canali di distribuzione),
  • fattibilità finanziaria (costi e ricavi).

Tale approccio, peraltro, valorizza ampiamente tecniche di visual thinking e, non ultimo, non rinnega affatto l’importanza del business plan. Già nel loro manuale del 2010, Osterwalder e Pigneur evidenziano in modo molto semplice come si possa passare facilmente dal BMC al business plan (si veda “Business Model Generation”, p. 269), ma raccomandano parimenti di inquadrarli ed utilizzarli come strumenti diversi, come cercherò di evidenziare nei prossimi post su questo blog [8].

 Figura 1 – Approcci innovativi alla creazione di impresa e conseguente proposta di revisione degli interventi di sostegno alle start-up cofinanziati dal FSE Plus 2021-2027

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[1] Kawasaki G. (2004), The Art of the Start, Penguin Publishing, New York.

[2] La proposta di regolamento sul Fondo Sociale Europeo Plus (FSE Plus o FSE+)COM (2018) 382 della Commissione del 30.05.2018 – lo indica come” principale strumento dell’UE per investire nelle persone e attuare il Pilastro Europeo dei diritti sociali” (v. p. 1).

Come prescritto dall’articolo 4 della proposta di regolamento in oggetto, i suoi obiettivi specifici “nei settori di intervento dell’occupazione, dell’istruzione, dell’inclusione sociale e della salute” nella prossima programmazione saranno:

i) migliorare l’accesso all’occupazione di tutte le persone in cerca di lavoro, in particolare i giovani e i disoccupati di lungo periodo, e delle persone inattive, promuovendo il lavoro autonomo e l’economia sociale;

ii) modernizzare le istituzioni e i servizi del mercato del lavoro per valutare e anticipare le esigenze in termini di competenze e garantire un’assistenza e un sostegno tempestivi e su misura nel contesto dell’incontro della domanda e dell’offerta, delle transizioni e della mobilità nel mercato del lavoro;

iii) promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, compreso l’accesso all’assistenza all’infanzia, un ambiente di lavoro sano e adeguato che tiene conto dei rischi per la salute, l’adattamento dei lavoratori, delle imprese e degli imprenditori ai cambiamenti e un invecchiamento attivo e sano;

iv) migliorare la qualità, l’efficacia e la rilevanza per il mercato del lavoro dei sistemi di istruzione e di formazione, per sostenere l’acquisizione delle competenze chiave, comprese le competenze digitali;

v) promuovere la parità di accesso e di completamento di un’istruzione e una formazione inclusive e di qualità, in particolare per i gruppi svantaggiati, dall’educazione e dall’assistenza prescolare, attraverso l’istruzione e la formazione generale e professionale, fino al livello terziario e all’istruzione e all’apprendimento in età adulta, anche agevolando la mobilità a fini di apprendimento per tutti;

vi) promuovere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, in particolare le opportunità di perfezionamento e di riqualificazione flessibili per tutti, tenendo conto delle competenze digitali, anticipando meglio il cambiamento e le nuove competenze richieste sulla base delle esigenze del mercato del lavoro, facilitando il riorientamento professionale e promuovendo la mobilità professionale;

vii) incentivare l’inclusione attiva, per promuovere le pari opportunità e la partecipazione attiva, e migliorare l’occupabilità;

viii) promuovere l’integrazione socioeconomica di cittadini di paesi terzi e delle comunità emarginate come i rom;

ix)migliorare l’accesso paritario e tempestivo a servizi di qualità, sostenibili e a prezzi accessibili; modernizzare i sistemi di protezione sociale, anche promuovendo l’accesso alla protezione sociale; migliorare l’accessibilità, l’efficacia e la resilienza dei sistemi sanitari e dei servizi di assistenza di lunga durata;

x) promuovere l’integrazione sociale delle persone a rischio di povertà o di esclusione sociale, compresi gli indigenti e i bambini;

xi) contrastare la deprivazione materiale mediante prodotti alimentari e assistenza.

Immagine ex Pixabay

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Per amor di precisione, va evidenziato che questi 11 obiettivi specifici concernono la sezione del FSE Plus che verrà attuata tramite modalità di “gestione concorrente”. Tali obiettivi specifici in parte sono assolutamente in linea con le aree di intervento del FSE nella programmazione in corso e in parte riflettono l’introduzione nel “nuovo” FSE Plus di linee di intervento attuate in precedenza tramite altri Fondi. E’ il caso, segnatamente, dell’obiettivo specifico 11 “Contrastare la deprivazione materiale mediante prodotti alimentari e assistenza materiale di base agli indigenti, con misure di accompagnamento”, nell’ambito del quale verranno implementati interventi che attualmente sono finanziati dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (indicato con l’acronimo FEAD – Fund for the European Aid to the most Deprived).

Immagine ex Pixabay

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[3] A livello accademico si veda, per tutti: Audretsch D.S. (2009), La società imprenditoriale, Venezia, Marsilio. Si veda anche il contributo a firma dell’esperto di politiche pubbliche e sotto-segretario al Ministero dello Sviluppo Economico Gian Paolo Manzella “Start-up “Grande Bellezza”!. Idee per un ecosistema della nuova impresa innovativa nel Lazio” che testimonia in maniera plastica la assoluta centralità che hanno acquisito negli anni recenti le politiche di sostegno alla creazione di impresa quale autentico fulcro di un autentico turnaround dei sistemi produttivi.

[4] Il percorso di creazione di impresa/sviluppo di nuovi prodotti per aggredire nuovi mercati e/o quello di “sviluppo” dei clienti è efficacemente rappresentato dal “ciclo Build Measure Learn” (o “ciclo di apprendimento lean”) proposto inizialmente da Eric Ries. Questo ciclo va ripetuto più volte per raggiungere il pertinente “fit” del nuovo prodotto (e/o della nuova impresa) con il mercato. Ad ogni ciclo si acquisiscono nuovi dati (nuove “evidenze”) che consentono di apprendere , di riflesso, avvicinarsi al pertinente “fit” di nuove imprese/nuovi prodotti con il mercato target.

Si vedano: Blank S. (2005), The Four Steps to the Epiphany, K&S Ranch, San Francisco; Ries E. (2011), The Lean Start Up, Crown Publishing, New York; Blank S. (2013), Why the Lean Start Up Change Everything,  Harvard Business Review, May 2013.

[5] L’approccio Build-Measure-Learn è proprio funzionale allo “sviluppo” dei nuovi clienti, in quanto l’idea di fondo è che siano le interazioni continue coi clienti a guidare i perfezionamenti dei prodotti/servizi necessari per raggiungere un adeguato “fit” con il mercato (e con i veri bisogni dei clienti).

[6] Sull’approccio di John Mullins della London Business School si veda: Mullins J. (2017); The new business road test: what entrepreneurs and investors should do before launching a lean start-up; Prentice Hall/FT, London, 5th edition.

[7] Si vedano: Sarasvathy S.D. (2005); What Makes Entrepreneurs Entrepreneurial?; Harvard Business Review; September 2005;  Sarasvathy S.D. et al. (2010); Effectual Entrepreneurship; Routledge, New York; Buchanan L. (2011); How Great Entrepreneurs Think. Think inside the (restless, curious, eager) minds of highly accomplished company builders; Inc.Magazine, 1.02.2011.

[8] Osterwalder A.; Pigneur Y. (2010); Business Model Generation; Wiley & Sons; Hoboken, New Jersey; Osterwalder A.; Pigneur Y.; Bernarda G.; Smith A. (2014); Value Proposition Design; Wiley & Sons; Hoboken, New Jersey.

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